domenica 14 novembre 2010

Il coraggio di Paola

La cosa che sorprende di più è che di questa storia al Corriere, molti colleghi, tutti quelli interpellati da me, almeno, non sapevano nulla. Li ho informati con la mia telefonata; cercavo di saperne di più, perché non conosco personalmente Paola Caruso e mi dispiace. Scrive molto, ho letto i suoi pezzi (per chi volesse farlo c'è l'archivio on line del Corriere che li registra tutti), ma non ci siamo mai incrociate.
Adesso che Paola fa lo sciopero della fame, per protestare contro il suo precariato eterno in via Solferino, ci sono anche colleghi, precari quanto lei, che si lanciano in sofismi: "Che sia precaria contrattualizzata o precaria freelance, questo è il dilemma".
La storia di Paola è ordinaria, ricorre con frequenza nei cento nomi che leggiamo in calce agli articoli su tutti i giornali. È il coraggio di Paola che è straordinario: una, sola, contro tutti, per fare quello che ogni giornalista dovrebbe fare, vedere il torto e dire che esiste.

Qui c'è la storia di una professionista che si è messa alla prova, in sette anni si è fatta conoscere e stimare (o vogliamo pensare che al Corriere sono così disperati da pubblicare tutti quegli articoli anche se non vanno bene?), ma quando si presenta un'opportunità, un contratto vero, le preferiscono un altro collega, più giovane, meno esperto.

Gira voce che il direttore del Corriere punti sui giovani. Ma è una scusa. Sono certa che in via Solferino, chiunque salga le scale che portano alla direzione, solo guardando le fotografie di chi lo ha preceduto, la storia che gli si para davanti, nell'evidenza di quegli scatti d'autore, non può preferire la regola del "Largo ai giovani", a quella del "Largo a chi è capace".

Gli altri giornali non credo che parleranno di questa storia, perché cane non mangia cane. E perché di Paole è praticamente fatta la gran parte del giornalismo italiano. Se ne parla molto qui, nel web, dove persino io che pure collaboro al Corriere ho saputo della storia. Neanche i rappresentanti sindacali ne sapevano nulla. I colleghi da me interpellati sono andati a informarli, mi hanno detto. Ora lo sanno.

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