martedì 8 gennaio 2013

Il viaggio di Alice



Mi ha seguita come solo un gatto sa fare: fedele, ma orgogliosa e indipendente. Non si è mai lasciata distrarre, giocando per tutta la vita, in un'infanzia perenne. Ha viaggiato al mio fianco, libera, accomodata sul cruscotto, senza mai perdermi di vista. Da lei ho imparato che ci si ferma per ascoltare le fusa, che anche russare è un po' fare le fusa. Che ci si guarda così tanto negli occhi fino a baciarsi con i nasi. Che anche da gatti si può pretendere un posto a tavola e uno sul divano. Ha accolto amici felini e umani, con simpatie tanto marcate quanto ingiustificate. Sapeva guardare l'altro lato delle cose: il giardino zen era una lettiera di lusso; il cartone del pandoro una giostra; il vaso dei tulipani la sdraio perfetta. Amava l'acqua, il sud della Francia, il sole, i formaggi, le maglie di cachemire e i croccantini. Preferiva su tutti Mozart. Seguiva i documentari tv sugli animali, ma non ha mai capito che fine facessero i titoli di coda. Li seguiva fino a quando sparivano, rincorrendoli dietro il televisore. Si chiamava Alice perché aveva sul dorso una macchia a forma di A, come quelle che disegnava Duerer. E non ha mai voluto saperne di nomignoli o altri richiami per gatti. Ha sopportato la vecchiaia e i suoi acciacchi con dignità. Poi, stamattina ha deciso di proseguire il viaggio da sola. Così, senza neppure un biglietto per dirmi cosa fare...