giovedì 30 maggio 2013

Capo Rizzuto, il sindaco, la mafia

A Isola Capo Rizzuto, in Calabria, se perdi le elezioni amministrative capita anche che ti bruciano casa. La logica è simile a quella degli antichi romani che mettevano a ferro e fuoco il territorio dei nemici. Perché un sindaco, in terra di mafia, è un nemico. 

Carla Girasole ha fatto di tutto per essere nemica. Per esempio, all'inizio del mandato, cinque anni fa, ha comprato una macchina per la pulizia delle spiagge comunali, togliendo il compito a chi lo aveva avuto senza neanche vincere una gara d'appalto. Per esempio, ha chiesto aiuto a don Ciotti e a Libera. Ma quando si è trattato di raccogliere i finocchi cresciuti nei campi espropriati alla mafia, per avere i trattori necessari, è intervenuta la Provincia. Nessun agricoltore ha avuto il coraggio di mettere a disposizione gli strumenti e nemmeno le braccia.

L'ex sindaco di Isola Capo Rizzuto, paese ad alta densità mafiosa, commissariato per molti anni prima di avere di nuovo una maggioranza e un'opposizione scelte con elezioni democratiche, ha subito minacce. Due anni fa le hanno bruciato l'auto sotto casa. Carla Girasole era sotto tutela, una sorta di scorta per le persone esposte a rischio. E le due figlie adolescenti hanno imparato giovanissime ad avere paura. 

L'ex sindaco scomodo ha anche l'aggravante di essere donna, per giunta laureata e seria professionista, in un paese come la Calabria, dove le differenze di genere seguono regole per niente democratiche. C'è chi analizza il tribalismo calabrese e chi vi resiste, d'accordo. Il sociologo avrà gli strumenti per studiare, ma fa tenerezza chi oggi, anno domini duomillesimodecimoterzo, ricorre al rap per far sentire la sua voce di donna.

Ora, l'ex sindaco di Isola Capo Rizzuto, può aver commesso errori, ha sicuramente pestato i piedi. L'incendio di casa sua dopo la sconfitta elettorale è proprio un segnale brutto. Ma può essere la cartina di tornasole. Il nuovo sindaco saprà prendere le distanze dal fattaccio. Ma a questo punto un politologo serio troverà interessante il caso e si spera vorrà osservare il paese come laboratorio di studio. Bisognerà capire perché Isola Capo Rizzuto ha scelto di non riconfermare Carla Girasole, decisione democratica, condivisa, che merita rispetto, ma alla luce di questo incendio, uno "sgarro", desta sospetto.

Isola Capo Rizzuto è un paese mafioso? 

mercoledì 15 maggio 2013

Siamo alla frutta?

Ricevo allettanti proposte da negozi chic di Milano. Tipo questa: vieni a fare compere da noi, il venerdì, ti regaliamo una cassetta di frutta e verdura. Qualcuno regala bouquet di erbe aromatiche, altri aggiungono alla borsa griffata anche lo spaghetto nologo ma molto di nicchia. 
Siamo alla frutta?

martedì 14 maggio 2013

Lutring, una raffica di ricordi

   Diceva "shampata" e ti catapultava in un'atmosfera d'altri tempi. Con la gentilezza che gli è stata riconosciuta fin dai primi colpi, Luciano Lutring parlava di sé, delle rapine che lo hanno reso famoso col distacco di chi le ha fatte, ma prima ancora studiate. Se ne è andato di notte,  tra domenica 12 e lunedì 13 maggio, all'ospedale, dopo una caduta in casa. I suoi 76 anni li dimostrava solo quando arrivava il colpo di tosse, quasi un tuono. Con civetteria ricordava di quando in Francia, voleur gentilhomme, come lo apostrofava France-Soir negli anni Sessanta, lo hanno beccato, crivellato di colpi e spedito all'obitorio per gli studi di anatomia.

  "Vero o no?" era l'intercalare che gli era rimasto da quegli anni. In francese, per il resto, conosceva solo tre espressioni: "Fermi tutti", "Mani in alto" e "Fuori i soldi". Ma in ogni angolo di quel paese, si trattasse di Parigi, Marsiglia o Nizza, sapeva dove comprare le rose da lasciare alle impiegate di banca: piccola consolazione per lo choc. 
   Ex professionista del crimine, con 280 colpi - le shampate -  alle spalle, Lutring ha speso i giorni della sua pensione a dipingere, a scrivere le sue memorie, a seguire le figlie, sempre pronto a offrirti un caffè, nella casa che guarda il lago. Sapeva di non essere un buon esempio. E a quanti lo intervistavano raccomandava sempre di parlare della sua nuova vita, di scrivere "ex rapinatore" davanti al suo nome.  

   Ma aveva buona parlantina, gli piaceva raccontarsi e lo ha fatto con generosità rivelando dettagli e particolari che potevano riaprire conti già chiusi. Ha avuto in sorte due grazie, una francese e una italiana, controcanto, ha sempre detto, al dolore per la perdita dell'unico figlio maschio. E si arrabbiava per i modi di quelli che un tempo avrebbe considerato colleghi. "Di-le-ttanti", scandiva. "Quando lavoravamo noi, calcolavamo tutto". Sopralluoghi a volte di giornate intere per studiare l'impianto elettrico della banca e il tracciato dei cavi telefonici. E continuava a leggere i cambiamenti con occhio attento: l'antifurto nelle auto, le telecamere, il bancomat sorvegliato. A cercare una cifra della rapina all'italiana, lui la trovava proprio lì, nello studio di ogni particolare, nel calcolo della pena fatto prima di cominciare: aggravante uno, tre mesi; aggravante due, cinque e così via. Nulla lasciato al caso. Ogni volta che ne parlava, consigliava di smettere. 

  Con precisione ha falsificato carte d'identità e passaporti, prima, poi ha disegnato cartine per istituti geografici, mentre era dietro le sbarre, infine da uomo libero ha dato sfogo al suo lato d'artista: paesaggi aronesi, vedute di Milano, ritratti. 

  È stato l'uomo della seconda chance, senza mai dimenticare la prima esistenza. "La vita ti riserva sempre un'altra possibilità, devi saperla cogliere".