Visualizzazione post con etichetta Gustavo Zagrebelsky. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Gustavo Zagrebelsky. Mostra tutti i post

lunedì 5 settembre 2011

Principi, valori e sciopero

Li confondiamo nel linguaggio comune, li sovrapponiamo come fossero sinonimi. Ma principi e valori non sono la stessa cosa e dovremmo ricordarcene quando li tiriamo in ballo. Soprattutto se ci sono in gioco diritti. È questione di filosofia, dirà qualcuno. Ma invece no, è questione di parlar chiaro. C'è un articolo di Gustavo Zagrebelsky, pubblicato su Repubblica nel 2008; è chiarissimo, dopo non si può sbagliare. Ne ripropongo i passi fondamentali:
Il valore, nella sfera morale, è qualcosa che deve valere, cioè un bene finale che chiede di essere realizzato attraverso attività a ciò orientate. È un fine, che contiene l’autorizzazione a qualunque azione, in quanto funzionale al suo raggiungimento. In breve, vale il motto: il fine giustifica i mezzi. Tra l’inizio e la conclusione dell’agire “per valori” può esserci di tutto, perché il valore copre di sé, legittimandola, qualsiasi azione che sia motivata dal fine di farlo valere. Il più nobile dei valori può giustificare la più ignobile delle azioni: la pace può giustificare la guerra; la libertà, gli stermini di massa; la vita, la morte, eccetera. Perciò, chi molto sbandiera i valori, spesso è un imbroglione. La massima dell’etica dei valori, infatti, è: agisci come ti pare, in vista del valore che affermi. Che poi il fine sia raggiunto, e quale prezzo, è un’altra questione e, comunque, la si potrà esaminare solo a cose fatte. 
Il discorso è più articolato, ma per brevità passiamo ai principi.
Il principio, invece, è qualcosa che deve principiare, cioè un bene iniziale che chiede di realizzarsi attraverso attività che prendono da esso avvio e si sviluppano di conseguenza. Il principio, a differenza del valore che autorizza ogni cosa, è normativo rispetto all’azione. La massima dell’etica dei principi è: agisci in ogni situazione particolare in modo che nella tua azione si trovi il riflesso del principio. Per usare un’immagine: il principio è come un blocco di ghiaccio che, a contatto con le circostanze della vita, si spezza in molti frammenti, in ciascuno dei quali si trova la stessa sostanza del blocco originario. Tra il principio e l’azione c’è un vincolo di coerenza (non di efficacia, come nel valore) che rende la seconda prevedibile. 
E se i principi fossero più d'uno?
....i principi non contengono una necessaria propensione totalitaria perché, quando occorre, quando cioè una stessa questione ne coinvolge più d’uno, essi possono combinarsi in maniera tale che ci sia un posto per tutti. I principi, si dice, possono bilanciarsi. Chi agisce “per principi” si trova nella condizione di colui che è sospinto da forze morali che gli stanno alle spalle e queste forze, spesso, sono più d’una. Ciascuno di noi aderisce, in quanto principi, alla libertà ma anche alla giustizia, alla democrazia ma anche all’autorità, alla clemenza e alla pietà ma anche alla fermezza nei confronti dei delinquenti: principi in sé opposti, ma che si prestano a combinazioni e devono combinarsi.
Ora, perché vogliamo difendere il principio della libertà imprenditoriale e della libera concorrenza, il diritto dei lettori e non invece un quello dei lavoratori. L'Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro. Fino a manovra contraria.

venerdì 7 maggio 2010

Zagrebelsky's Point

Gustavo Zagrebelsky mercoledì 5 maggio, dal divano di Serena Dandini: "Sono più importanti gli uomini o le istituzioni? Le istituzioni sono importanti, naturalmente. Ma una cattiva Costituzione può funzionare bene se gli uomini che sono dentro le istituzioni sono uomini buoni, cioè se hanno senso dello Stato, responsabilità verso la cosa pubblica. Ciò che è decisiva è la qualità degli uomini. Non c'è nessuna ottima Costituzione che può funzionare bene se la classe politica è corrotta".

Berlusconi non l'ha presa bene. Se ne è lamentato venerdì 7 maggio, nel corso del Consiglio dei Ministri, facendosi sfuggire pensieri a voce alta sulle "solite trasmissioni pagate con i soldi pubblici che si dilettano ad avere come solito bersaglio il governo e si divertono ad aggredirlo".

venerdì 26 marzo 2010

Giornalismo e insulti (e scusate l'intrusione)

Siccome la vicenda mi riguarda personalmente, mi sono fatta scrupolo di pubblicarla in questo blog. La storia naviga in Rete, in molti posti, persino in acque ministeriali, e anche da prima che l'articolo scritto da Paolo Biondani e da me e pubblicato da L'espresso, fosse in edicola.

Di quelli che ritengo siano insulti chiederò conto in altra sede, certo non qui. Gli insulti preventivi si considerano intimidazioni?
Paolo Biondani ha replicato con una nota che mi ha sottoposto e che condivido. Ma c'è un tema che è di carattere generale e politico se, come diceva Gandhi in democrazia nessun fatto di vita si sottrae alla politica. Lo ha colto Enzo Marzo, giornalista, tra i promotori della Società Pannunzio per la libera informazione, che annovera tra gli altri Tullio De Mauro, Corrado Stajano, Nadia Urbinati e Gustavo Zagrebelsky.

Scrive Enzo Marzo: "Il rapporto tra lettori e giornalisti è oggi così rudimentale che quasi nessuno mostra di conoscere i propri diritti e i propri doveri. Così si confondono garanzie, rettifiche e violazioni deontologiche".

Credo sia un tema importante, anche in vista delle prossime elezioni. Un tema di democrazia. Si respira un'aria pesante, da queste parti. E sale l'ansia a metter in fila i tentativi di censura, la voglia di zittire senza spiegare, gli attacchi riusciti verso alcune voci libere, i 15 (li ho contati tutti?) tra disegni e progetti di legge di questa legislatura per mettere il bavaglio a internet.

Andare a votare, questa volta, significa anche far sapere che noi cittadini conosciamo i nostri diritti (oltre che i nostri doveri) e vogliamo riprenderceli tutti.