Diceva "shampata" e ti catapultava in un'atmosfera d'altri tempi. Con la gentilezza che gli è stata riconosciuta fin dai primi colpi, Luciano Lutring parlava di sé, delle rapine che lo hanno reso famoso col distacco di chi le ha fatte, ma prima ancora studiate. Se ne è andato di notte, tra domenica 12 e lunedì 13 maggio, all'ospedale, dopo una caduta in casa. I suoi 76 anni li dimostrava solo quando arrivava il colpo di tosse, quasi un tuono. Con civetteria ricordava di quando in Francia, voleur gentilhomme, come lo apostrofava France-Soir negli anni Sessanta, lo hanno beccato, crivellato di colpi e spedito all'obitorio per gli studi di anatomia.
"Vero o no?" era l'intercalare che gli era rimasto da quegli anni. In francese, per il resto, conosceva solo tre espressioni: "Fermi tutti", "Mani in alto" e "Fuori i soldi". Ma in ogni angolo di quel paese, si trattasse di Parigi, Marsiglia o Nizza, sapeva dove comprare le rose da lasciare alle impiegate di banca: piccola consolazione per lo choc.
Ex professionista del crimine, con 280 colpi - le shampate - alle spalle, Lutring ha speso i giorni della sua pensione a dipingere, a scrivere le sue memorie, a seguire le figlie, sempre pronto a offrirti un caffè, nella casa che guarda il lago. Sapeva di non essere un buon esempio. E a quanti lo intervistavano raccomandava sempre di parlare della sua nuova vita, di scrivere "ex rapinatore" davanti al suo nome.
Ma aveva buona parlantina, gli piaceva raccontarsi e lo ha fatto con generosità rivelando dettagli e particolari che potevano riaprire conti già chiusi. Ha avuto in sorte due grazie, una francese e una italiana, controcanto, ha sempre detto, al dolore per la perdita dell'unico figlio maschio. E si arrabbiava per i modi di quelli che un tempo avrebbe considerato colleghi. "Di-le-ttanti", scandiva. "Quando lavoravamo noi, calcolavamo tutto". Sopralluoghi a volte di giornate intere per studiare l'impianto elettrico della banca e il tracciato dei cavi telefonici. E continuava a leggere i cambiamenti con occhio attento: l'antifurto nelle auto, le telecamere, il bancomat sorvegliato. A cercare una cifra della rapina all'italiana, lui la trovava proprio lì, nello studio di ogni particolare, nel calcolo della pena fatto prima di cominciare: aggravante uno, tre mesi; aggravante due, cinque e così via. Nulla lasciato al caso. Ogni volta che ne parlava, consigliava di smettere.
Con precisione ha falsificato carte d'identità e passaporti, prima, poi ha disegnato cartine per istituti geografici, mentre era dietro le sbarre, infine da uomo libero ha dato sfogo al suo lato d'artista: paesaggi aronesi, vedute di Milano, ritratti.
È stato l'uomo della seconda chance, senza mai dimenticare la prima esistenza. "La vita ti riserva sempre un'altra possibilità, devi saperla cogliere".
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