giovedì 31 dicembre 2009

Ridere, ridere, ridere

Maddai che in fondo ci siamo divertiti...

Capodanno, par Antonia Pozzi




Se le parole sapessero di neve
stasera, che canti -
e le stelle che non potrò mai dire...

Volti immoti s'intrecciano tra i rami
nel mio turchino nero:
osano ancora,
morti ai lumi di case lontane,
l'indistrutto sorriso dei miei anni.

(foto OlgaPress)

mercoledì 30 dicembre 2009

Ristretti orizzonti

Tenere la posizione. Un anno aggrappati come panda a un albero che sembra l’ultimo del pianeta. Così è stato secondo me, questo duemila e nove. Meno che il gattopardesco Tutto cambia, perché niente cambi. Siamo andati oltre: Non cambia niente e speriamo che duri.
Come in quel film dove Bill Murray si sveglia ogni mattina nella stessa mattina.
Ci si sono ristretti gli spazi e gli orizzonti. Non si scrive, si microblogga; non si fa politica, s’inventano slogan; filosofia? Una citazione toglie il pensiero di torno. Per la musica, vale quell’unico brano che si scarica dal web. One shot, one show. Poi tutto passa, anche la voglia.
Sul grande schermo è stato l’anno dei vampiri. Atmosfera pulp più che dark, che altrimenti ci facevamo anche un pensierino. Il gotico è in soffitta, e i pipistrelli sono a rischio estinzione. Al marketing piace il terrore.
Per la crisi economica è andata meglio: successo planetario.

E se non ci fosse un domani? Oggi non c’è stato!
(Bill Murray-Phil Connors, Ricomincio da capo, di Harold Ramis, 1993)

martedì 29 dicembre 2009

The pink side of the moon


La ministra cerbiatta vuole scrivere Masculi (guardarli, capirli, educarli) e fare le riforme con le donne, perché “sanno aprirsi al dialogo con maggior garbo, con più tatto, con maggiore capacità di ascolto dell’altro”. 
Quasi quasi sembra più sincera la Ventura che dall’alto della sua soubrettitudine svela: “Non mi piace il sesso per il sesso”. 
Però attenzione, ecco il vero lato rosa della Storia. Lo rivela alla Stampa: “Vorrei approfondire il tema delle disabilità in generale, anche psichica, per migliorare la vita dei malati e delle loro famiglie. Abbiamo da poco organizzato un congresso sull’ansia e la depressione e non posso non pensare alle tante donne che accudiscono persone che hanno un disagio mentale, pensiamo a quello che è accaduto a Berlusconi e al Papa”.

Alla fine, gira che ti rigira, la colpa è sempre di Eva.

lunedì 28 dicembre 2009

Pacifisti italiani bloccati al Cairo: devono raggiungere Gaza


Un gruppo di 140 italiani è bloccato all'ambasciata italiana al Cairo. Era diretto al valico di Rafah per partecipare alla Gaza Freedom march. I poliziotti egiziani hanno sequestrato gli autobus che avrebbero dovuto portare i manifestanti a El Arish e da qui poi a Gaza. Ci sono stati momenti di tensione, tafferugli. Ma ora sembra tutto tornato alla normalità, anche se i pacifisti sono ancora al Cairo e contano sulla mediazione dell'ambasciatore italiano per poter ripartire.

Un mio amico è lì, e mi ha mandato un sms. E' preoccupato. Mi avverte: "Brutta situazione, siamo bloccati in ambasciata. Altri 1300 sono all'Onu"

La Freedom march è organizzata dall'associazione statunitense Code Pink. I pullman erano già stati pagati; ma i poliziotti li hanno bloccati prima che arrivassero all'albergo dove alloggiava il gruppo di italiani atterrato ieri al Cairo.
Oltre ai manifestanti italiani bloccati al Cairo ci sono altre 1300 persone che fanno parte della delegazione internazionale diretta a Gaza. La tensione è salita, stamattina, quando, resisi conto del blocco, i manifestanti hanno tentato di prendere i taxi ma i poliziotti hanno requisito anche quelli. E' stato a quel punto che gli italiani si sono diretti all'ambasciata, altri invece sono andati alla sede dell'Onu al Cairo.


"La situazione è relativamente calma, anche se c'è tensione e qualche tafferuglio: una donna americana è stata colpita con un pugno da un agente", spiega sei ore più tardi alle agenzie Francesco Giordano, coordinatore milanese di Forum Palestina, una sorta di collettivo di ong con sedi in Italia. "I poliziotti ci hanno circondati - racconta - e transennato la zona per impedirci di raggiungere il valico di Rafah. Ora aspettiamo una risposta dalle autorità egiziane e speriamo nella mediazione dell'ambasciatore italiano, che finora si è mostrato molto disponibile: noi non vogliamo manifestare in Egitto, desideriamo solo raggiungere Gaza, partecipare alla marcia e portare ai bambini palestinesi le medicine e i giocattoli che hanno sequestrato stamattina con i nostri pulmann".


domenica 27 dicembre 2009

La lista


Andare più spesso al cinema. Leggere, leggere, leggere, e solo dopo, scrivere. Prenderla alla leggera. Smettere di giustificare gli errori degli altri. Coltivare cattivi propositi. Ascoltare. Essere puntuale. Coltivare l’orto sul balcone. Casalinghitudine zero. Fare il pane. Ascoltarmi. Divertirmi. Ridere, ridere, ridere. Viaggiare. Aspettare. Imparare a fotografare. Ascoltare le fusa. Riciclare. Andare al mare. Correre, ogni giorno. Pensare alla fine delle cose, prima di comprarle. Imparare. Smettere. Vivere con passione. Avere tenacia senza insistere. Ricordare tanto, ma non tutto. Raggiungere gli obiettivi. Saper dire di No. Rispettare i propositi.
                

Linee guida per il 2010: lentezza, profondità, senso.

Tutti dicono I love you (da Pippo)

A dieci anni dall'ingresso nel Nuovo Millennio, l'Almanacco per dodici mesi di amore. Senza pregiudizio.

sabato 26 dicembre 2009

Accendere le spie


Meglio partire dagli aggettivi. Come sarà il Copasir dalemiano? Il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica nelle mani del politico che in Italia è sinonimo di “inciucio” (vedi alla voce Google) e che ha appena proposto una “leggina” a favore del premier, con la scusa di salvare l’Italia. D’Alema è anche il politico che ha dichiarato di apprezzare Niccolò Pollari, l’ex numero uno del Sismi, l’uomo che con il fedele Pio Pompa ha spiato e schedato politici, magistrati e giornalisti ritenuti “avversari” di Silvio Berlusconi.
Forse per questo il Pd di Bersani non ha dichiarato nulla sul segreto di stato sceso dal presidente del Consiglio a coprire Pollari. O forse è il contrario: il Pd tace e D’Alema vince la poltrona?

venerdì 25 dicembre 2009

Global warming, buon Natale



Un ministro della Difesa che inneggia alla X Mas (per assonanza, si dirà); un prete che uccide (per provare di persona il quinto comandamento, si dirà); un papa atterrato (perché non arrivava il meteorite annunciato da Cattelan, si dirà); un amministratore delegato delle ferrovie che dice: “se partite, portatevi un maglione, un panino e qualcosa da bere” (e anche il treno, visto che ci siete… si dirà).

Dimenticavo: c'è anche l'ipotesi di qualificare film d'interesse culturale "Natale a Beverly Hills" (ma solo per poter dire che anche la cultura guadagna al botteghino...).

(Foto scattata da me, a Milano, il 22 dicembre)

domenica 20 dicembre 2009

Natale (strettamente privato)

Quando si avvicina Natale, mi viene in mente Tommaso. Recitava per la prima volta, a quattro anni, nel presepe vivente della scuola, in rappresentanza dell’unica classe d’asilo. “Resta qui, dove vai?” insistevano le zie. E Tommaso: “Non posso, ho le prove”. Voleva tornare a casa, perché doveva recitare con gli amici. La prova dei tempi, la prova di canto, la prova dei costumi. Tutto un gran daffare per la recita di Natale davanti all’intero paese. Papà era pronto con la telecamera, mamma aveva cucito il vestito. “Ma che parte fai?”. “L’Uscellino”. Dovrà indossare ali colorate e un becco arancione per cappello. “Dai Tommy, recita per noi”. Tommaso spazientito, accetta di esibirsi dopo qualche bicchiere di succo di frutta e la promessa di nuovi bellissimi regali. Schiarisce la voce, cerca il posto giusto. Sgombera il tavolino del salotto. Sale su, come l’attore consumato sulle assi polverose di un teatro. Silenzio, buio, concentrazione: le braccia alte come ali. Poi, d’un fiato: “Cip”. E fuori parte: “Finito”.

sabato 19 dicembre 2009

Ultimo mondo cannibale

Dovevano dircelo prima, però. Due mesi di tempo non bastano per prepararsi alla versione cannibale di Sanremo. Ma come, proprio quando sei tranquilla perché mamma Clerici è più buona di mamma Rai, nella lista dei big ti ritrovi Morgan, Noemi e Marco? Cioè il papà di X-Factor che sfida i suoi bambini. Bisogna studiare, prepararsi, discutere. E’ atroce e non so se riusciremo a farcene una ragione: “più che l’amor potè il digiuno”? Ci toccherà riprendere in mano i classici.
La lista è lunga, ci sono Pupo e il principe. Anche qui un bel salto nell’inconscio, tra fiaba ed epopea da cantastorie. Qualcuno ci ha visto un segnale politico: quelli dell’Udc cominciano a cantare?
C’è la zuccherina che ci riprova: dopo il debutto con papà, adesso canta con i nonni Nomadi. Ma da sola mai?
C’è Povia con una canzone sul caso Eluana. Questa però la vedo bene: magari così si capisce che ci vuole un limite, almeno alle sofferenze canore.

giovedì 17 dicembre 2009

Una montatura?

Ora spunta questo video.....

More than (green) words

Inchiostro vegetale su carta riciclata (minimo 75 per cento) e stampa a chilometro quasi zero (150 miglia dalla sede di Davon). La Green Books ha già vinto il British Book Design e il Production Awards. Un editore illuminato.

E se stampassero così anche i giornali? A me peserebbe di meno l'unica soddisfazione che mi danno: gettarli nel cestino.

martedì 15 dicembre 2009

Giù la maschera




Dicono che un volto insanguinato muova a compassione. Dicono che in un paese come il nostro, di cultura cattolica, un viso piegato dalla smorfia di dolore debba comunicare tristezza, pietà, fratellanza, persino perdono.
La maschera tragica di quel leader politico colpito da un pazzo a me non ha fatto questa impressione. Quel volto è solo una rappresentazione. Me ne sono accorta guardando e riguardando le riprese di quella scena. Fissando – senza capire – la foto sgranata di lui, oltre il finestrino dell’auto (il rosso del sangue solo attorno alle labbra?) mi sono ricordata della prima apparizione, della pelle di pesca creata col trucco della calza sulla telecamera.
Mi rattrista questa considerazione, ma perché avrei dovuto reagire diversamente. Sono parte del pubblico raggiunto dai mille spot televisivi, sono per quel leader solo una “domandatrice” – è così che durante le conferenze stampa apostrofa i giornalisti – sono finita a piè pari nella trappola antica come il mondo: far credere che il corpo di un leader non sia quello di un uomo qualunque. E’ “primus super pares”, sostengono i suoi avvocati davanti ai più alti tribunali, ha bisogno di un salvacondotto: non può essere giudicato come gli altri, perché dice di non essere come gli altri.
Prima di essere raggiunto al volto da un souvenir, in una piazza Duomo piena di gente che urla, sputa e si strattona, il leader gareggia in giovinezza con un altro politico piazzato meglio anagraficamente e fisicamente (ma giudico sempre dalle apparenze). Dice di sé, aprendosi la camicia sul petto che è così prestante da non aver bisogno della canottiera e che è “bello così”, cioè di natura.
Poi, dopo il colpo, la smorfia di dolore si piega in smorfia di vendetta, odio quasi: il leader raccoglie le forze, esce dall’auto, tra gli agenti di scorta, per guardare in faccia il Cattivo.
L’esposizione del corpo del leader ha una sua tradizione storica importante. Ci sono libri zeppi di re, imperatori, dittatori con una faccia pubblica perenne e una privata – più crudele o più tenera – ma nascosta. Per molti secoli hanno mummificato la prima, dopo la morte, uccidendo la seconda per la vita.
Quel duomo in miniatura non ha raggiunto semplicemente un volto. Questo vorrebbe far credere chi strilla “violenza costituzionale”. Questo dice il sacerdote che dal capezzale del ferito predica: “Bisogna cambiare la Costituzione”. Questo dice il ministro che in Parlamento vuole mettere il bavaglio a web e cortei.
Chi è caduto nella trappola?

domenica 29 novembre 2009

Questo non è un paese per vecchi (cerebralmente vecchi)


Due mesi per capire che la manifestazione del 5 dicembre è una manifestazione nata dalla Rete, fatta dalla Rete, per chi frequenta la Rete.
Nulla è cambiato, invece. Non ora, non per questa chiamata di piazza. Quel che è cambiato è il modo di fare politica con la Rete. Il No B Day dimostra che non c’è più bisogno di partiti per mobilitare cittadini e nemmeno della Cgil per organizzare pullman.
Facciamo da noi, senza intermediari. Grazie”.  Ecco la parola d’ordine di sempre di questo No B Day. I partiti se ne facciano una ragione. La società civile vive e con la Rete ha trovato spazi di democrazia digitale, perché quelli dell’analogico sono tutti occupati.

(Foto: L'albero di zia Rita, Olga Piscitelli)

venerdì 20 novembre 2009

Giornalisti per Caso

Pubblico questa lettera inviata a Giovanni Negri, presidente Alg, l'associazione lombarda dei giornalisti, e ai colleghi del sindacato di categoria.

Caro Giovanni, cari colleghi
(...)

Vorrei segnalare un articolo pubblicato sul web e diffuso al punto che ne ho ricevute una decina di copie via mail.
Parla della nuova avventura editoriale di Fabio Caso e dei fratelli Luigi e Ambrogio Crespi. Il Clandestino è il titolo della testata; direttore responsabile David Parenzo, vicedirettore Pierluigi Diaco.
Non conosco la collega che ha firmato il pezzo, constato che una ricostruzione così puntuale omette qualsiasi particolare sul passato dei protagonisti, anche quando l’intervistato ne fa cenno.
Di seguito comunque trovate l’articolo.
Vi ricordo per sommi e sommari capi che il signor Caso nel 2007 ha licenziato in tronco 35 colleghi che lavoravano a Dieci, testata di sua proprietà, perché avevano scioperato. Lo sciopero era stato indetto perché non arrivavano più gli stipendi.
Nel 2001, i Caso avevano chiuso anche una testata free press a Roma, Il Globo, con identiche modalità e in precedenza anche un call center in Sardegna.
Nel 2003, dopo aver contattato i Crespi, Fabio Caso mostrò interesse per ilNuovo.it, testata on line acquistata dalla Holding della Comunicazione di Crespi per il prezzo simbolico di un euro, a fronte di un patrimonio di 40 giornalisti, due redazioni, tre anni di attività e archivi e soprattutto un tesoretto di 3 milioni di euro (le liquidazioni dei giornalisti) ceduti a titolo di dote dai precedenti proprietari, Francesco Micheli e Silvio Scaglia. Il tutto è al centro di un processo per bancarotta che vede i Crespi (tutti: mogli incluse) sul banco degli imputati.
La trattativa con i Caso per ilNuovo.it non partì neppure, Guido Besana e tu Giovanni lo ricordate bene. Fu semplice andare a Roma, quella volta, e con una ricerca d’archivio trovare i precedenti – già ai tempi numerosi – dei Caso.
Di recente, i Caso sono tornati alla ribalta con la pretesa di acquistare l’Unità, quando dopo il passaggio a Renato Soru, l’ex patron di Tiscali disse che era in difficoltà.
Nell’articolo di Anna Martina Leogrande che vi trasmetto ci sono riferimenti alla vicenda Hdc che non concordano con le ricostruzioni che i magistrati hanno fatto per il processo. Ho provveduto a mandare l’articolo al pubblico ministero Laura Pedio, ma vi ricordo che il nostro sindacato è coinvolto come parte lesa nel processo sul fallimento di Hdc. E’ stata l’Inpgi ad anticipare parte delle liquidazioni per i colleghi del Nuovo.it, inoltre, in qualità di ex cdr del giornale sono testimone contro i Crespi in tutti i procedimenti civili e penali in corso a Milano. Invierò a magistrati e avvocati anche questa mia lettera.
Non devo ricordare a nessuno le prodezze di Luigi Crespi, finito di recente anche nei dossier del caso Marrazzo e sui giornali per aver diffuso a un gruppo di parlamentari del centrodestra sms con la notizia che “circola un video di Marrazzo che va con i trans”.
Sono sicura che, con i consigli di tutti, questa assemblea saprà trovare i modi per evitare quella che Gianni Mura in un breve ma straordinario articolo sulla vicenda del Dieci (La Repubblica, 11 settembre 2007) definì “la tolleranza mille”, per evitare di ritrovarsi ancora una volta a rimborsare ai giornalisti stipendi che gli imprenditori non hanno versato, o peggio a coprirne le spese legali.
Credo che il sindacato abbia la responsabilità di mettere in guardia i colleghi meno attenti e quanti nel deserto occupazionale di oggi tendono a fidarsi per un lavoro, purché sia. E credo anche che questo sindacato debba tutelare se stesso, perché un occhio chiuso oggi non diventi la concausa di un sindacato in meno domani.

Con affetto, Olga

*****

INTERVISTA ad Ambrogio Crespi di Anna Martina Leogrande - "Quando Fabio Caso mi ha raccontato della sua intenzione di fare del Clandestinoweb un quotidiano cartaceo - racconta Ambrogio Crespi, oggi direttore editoriale del futuro "Il Clandestino" - pensai fosse matto". Ma la follia in fondo piace a tutti. Anche ai Crespi. Che, perciò, hanno accettato la sfida. "Siamo artefici del primo progetto che compie il percorso inverso: da Internet al cartaceo - racconta Crespi - e che si propone di essere un autentico quotidiano di opinione come non ne esistono sul mercato".
Il periodo pare non aiuti. Ovunque si assiste al calo delle vendite nei prodotti editoriali. Il che sembra un controsenso. Ma sembra e basta. Perché "in realtà - continua Ambrogio Crespi - abbiamo l'opportunità di poter riempire quegli spazi che sono liberi in edicola". E se ancora non bastasse, c'è anche un pizzico di esoterismo. Perchè "Il Clandestino" sbarcherà in edicola il 24 novembre, che per i Crespi è una data storica.
"Fu proprio in quel giorno del 2003 che si decretò la fine dell'HDC (la holding della comunicazione che comprendeva circa 40 società, inclusa Datamedia, colosso dei sondaggi, ndr) per cui la sfida si raddoppia. Ma sono sicuro che ci porterà fortuna".
A questo punto la curiosità impazza. Come sarà il nuovo quotidiano? La provocazione partirà dalla grafica, su indicazione dell'editore. Un formato tabloid a quattro colonne, "perché - spiega Ambrogio Crespi - la lettura è orizzontale e colonne più larghe aiutano a leggere meglio".
La formula grafica ricorda molto The Independent, con grandi foto a colori in prima e all'interno. Due fogli, otto pagine, e finanziamenti pubblicitari considerevoli. Tra gli argomenti, ci sarà anche il gossip, quello politico. "Toccheremo tutte le età - sostiene Ambrogio Crespi - anche e soprattutto i giovani. Affronteremo qualsiasi argomento con grande coraggio".

mercoledì 18 novembre 2009

La liberté de plume est indissociable de l'idée même de démocratie

La libertà di pensiero è sotto attacco in Italia. Ma per saperlo bisogna leggere Le Monde. Nell'articolo dal titolo Nous soutenons Antonio Tabucchi un gruppo di intellettuali firma la petizione a sostegno dello scrittore italiano. Les démocraties vivantes ont besoin d'individus libres. D'individus courageux, indisciplinés, créatifs. Qui osent, qui provoquent, qui dérangent. Il en est ainsi des écrivains dont la liberté de plume est indissociable de l'idée même de démocratie.
De Voltaire et Hugo à Camus et Sartre, en passant par Zola et Mauriac, la France et ses libertés savent ce qu'elles doivent au libre exercice de leur droit de regard et de leur devoir d'alerte face à l'opacité, aux mensonges et aux impostures des pouvoirs. Et l'Europe démocratique, depuis qu'elle se construit, n'a eu de cesse de conforter cette liberté des écrivains contre tous les abus de pouvoir et les raisons d'Etat.
L'appello è firmato, tra gli altri, da Claudio Magris, Orhan Pamuk, Philip Roth, José Saramago, Mario Soares, Philippe Sollers, Costa-Gavras, Andrea Camilleri, Theo Angelopoulos e Valerio Adami.
"In Italia la libertà degli scrittori contro tutti gli abusi di potere e le ragioni di Stato è messa in pericolo dall'attacco smisurato contro Antonio Tabucchi, al quale il presidente del Senato domanda per vie legali una somma esorbitante (un milione 250mila euro) per un articolo su L'Unità, giornale che tuttavia non è perseguito", si può continuare a leggere. "Il crimine di Tabucchi? Aver interpellato Schifani, personaggio centrale del potere berlusconiano, sul suo passato, le sue relazioni d'affari, le sue dubbie frequentazioni. Per la scelta dell'obiettivo - uno scrittore che non ha rinunciato ad esercitare la sua libertà - e per la cifra, astronomica per una vicenda di stampa, lo scopo ricercato è quello di intimidire la coscienza critica e far tacere il più gran numero di persone".

lunedì 2 novembre 2009

I freni della democrazia

«Trattare non gli piace. Gli riesce difficile prendere atto che la democrazia pone dei freni. Silvio è un uomo del fare. I freni gli danno fastidio. Ma non è un dittatore come dicono».
Fedele Confalonieri, amico si Silvio Berlusconi fin dai tempi del liceo, racconta punti di forza e debolezze del premier in un'intervista a La Stampa.
I freni sarebbero i bilanciamenti tipici di una democrazia: la separazione dei poteri, la Costituzione, il Parlamento, la Consulta, gli elettori. Senza quei contrappesi la democrazia non è più democrazia.

Ma oggi quel che mi sconcerta è il silenzio della politica. Nessuno ha niente da dire. Domani, spero, le solite voci si alzeranno per ricordare, per esempio, che Milano 2 ha avuto tracolli improvvisi in corso d'opera e altrettanto improvvisi ripianamenti. Che i miliardi di cui parla Confalonieri non sono certo arrivati subito nelle tasche dei costruttori, che c'è voluto del tempo...
E che il mistero di come sia nata la tv resta tutto da decifrare.

Ma oggi, nella Rete, ho cercato per ore una reazione, una parola di spiegazione che riportasse la barra al centro della democrazia. Magari anche solo una domanda, tipo: freni a che cosa? Nulla.
Ditemi che mi sono sbagliata.



sabato 31 ottobre 2009

"Ora luce sul caso Cucchi. In dieci mesi, 16 morti per cause da accertare"

"La morte di Stefano Cucchi e l’ondata di indignazione, soprattutto dopo la pubblicazione delle sconvolgenti immagini del corpo martoriato di quel ragazzo, sono un fortissimo e drammatico richiamo alla realtà: una scossa per tutti, oggi, ma una scossa che dura da sempre per chi nel carcere lavora". Francesco Morelli, curatore per Ristretti Orizzonti, del Dossier Morire di carcere, legge la conaca con occhi diversi. Spera che questa volta "sia fatta luce al più presto", ma non dimentica tutti gli altri "casi di buio" finiti nel nulla. Ristretti Orizzonti, giornale di informazione della casa circondariale di Padova e dell'Istituto di pena femminile della Giudecca, segue dal 2000 i casi di morte dietro le sbarre.
In 10 anni, secondo i dati raccolti dal di dentro, nelle carceri italiane sono morti più di 1.500 detenuti, oltre un terzo dei quali per suicidio: i suicidi sono stati, in questo stesso arco di tempo, 543 su 1.529 morti in totale.
Come un diapason ipersensibile, il carcere registra ogni cambiamento. "Oggi a fronte di 20 mila detenuti in più nelle carceri italiane - spiega Morelli - ci sono 5 mila agenti di meno. Il sovraffollamento aumenta non solo la percentuale dei morti, ma anche il tasso di mortalità. Soffrono in primo luogo i detenuti, ma soffre anche la polizia penitenziaria, che nell’ultimo mese ha pagato con tre suicidi lo stress di un lavoro sempre poco riconosciuto. E se gli agenti stanno male, costretti come sono a fare turni di 12 ore, soffrono di conseguenza anche i detenuti. Sia chiaro, non c'è giustificazione possibile, è solo una correlazione che si registra con chiarezza".
Da gennaio al 30 ottobre negli istituti di pena italiani sono morti 146 detenuti, di cui 59 per suicidio. I suicidi riguardano prevalentemente i detenuti che hanno meno di 25 anni, "perché in carcere ci vanno i giovani, principalmente": i 10 "morti di carcere" più giovani del 2009 sono tutti suicidi; due di loro avevano solo 19 anni. Le morti per "cause da accertare" sono 16, 14 quelle per "malattia".
I dati complessivi del 2009 denunciano un aumento di 20 suicidi rispetto ai primi 10 mesi del 2008, mentre il totale delle morti "di carcere" hanno già superato il totale dello scorso anno: 146 contro 142.
"Le inchieste vengono avviate, ma poi finiscono in tempi lunghissimi. In media - dice ancora Morelli - ogni anno, nelle carceri italiane, muoiono 150 detenuti, di cui circa un terzo per suicidio e gli altri due terzi per “cause naturali” non meglio specificate. Gli omicidi registrati sono 1 o 2 l’anno. Con il nostro dossier cerchiamo di dare una lettura diversa a queste morti, distinguendo quelle causate da “malattia” da quelle per overdose (di droghe, di farmaci, di gas butano), ma anche segnalando i casi nei quali vengono aperte inchieste giudiziarie per l’accertamento delle cause di morte: sono le “cause da accertare”, che a volte rimangono tali finché cadono nel dimenticatoio. Sulla morte di Marcello Lonzi, per esempio, avvenuta nel 2003 nel carcere di Livorno, ancora non c’è una verità accertata".
A tutto si aggiunge il riverbero in negativo della crisi economica. "Mancano soldi per tutto, anche per la carta igienica. Dal 2005 ad oggi il sistema carcerario ha subito tagli in totale per un 50 per cento. Questo vuol dire che ora ogni istituto di pena dispone di poco più della metà dei soldi che aveva quattro anni fa".

mercoledì 14 ottobre 2009

Paura, guardia o ladro che tu sia


«Come diceva Bertold Brecht? È un crimine più grande fondare una banca o rapinarla? Bene, io a quella domanda come tutti sanno ho dato una risposta. Ma guardandomi intorno oggi, sai cosa mi colpisce? Che quarant´anni fa, Milano era più cupa, più sporca. Ma ad avere paura era solo chi aveva il grano. Le porte delle case restavano aperte. Gli operai che tiravano la lima alla Marelli lasciavano i ragazzini alla vicina o in cortile. Oggi chi ha il grano paura non ne ha più. La paura è dei disgraziati. Paura di essere scippati, violentati, accoltellati. E sai cosa trovo ancora più incredibile? Che a dire «al lupo, al lupo», però, sono rimasti sempre quelli che hanno il grano. Oggi uno che fa una rapina prende quindici anni. Chi manda sul lastrico qualche decina di migliaia di famiglie succhiandosi i loro risparmi, va bene se fa un mese ai domiciliari. Il senso della comunità è andato a farsi fottere. E se non c´è comunità, non c´è mito. Guardia o ladro che tu sia».

Renato Vallanzasca, nell’intervista a Carlo Bonini pubblicata su Repubblica (14 ottobre 2009)

Foto scattata a Ferrara, Palazzo dei diamanti

giovedì 17 settembre 2009

Liberi dalla stampa


Che imbarazzo. Ero convinta fosse il mio giorno fortunato, sono entrata in una libreria del centro, a Milano, che vende libri nuovi e usati. Cercavo un romanzo appena uscito, ma ero pronta a incontrare una storia di qualche mese fa, appena passata di mano. I libri già letti o non letti da qualcuno e per questo abbandonati mi piacciono: dentro, trovi più vite. Le impronte sulla copertina fanno già storia, i segni tra le pagine di più.
I miei preferiti sono i libri che non puoi ancora definire usati eppure hanno già qualche segno. Sono usciti da poco e sono già passati di moda. Sento che posso leggerli, segnarli con le mie matite, tenere il segno con i biglietti del tram. Sento che, lontano dal martello della pubblicità, delle interviste agli autori, delle critiche, potrei finalmente godermeli.
Ho scavalcato una folla pigolante di studenti che muniti di numero facevano la coda per i libri di scuola. "Sono fortunata", mi sono detta, perché non sono in quei panni e perché quando lo ero, sognavo di essere nei miei, cioè di poter entrare in una libreria a comprare il libro che volevo io, non quello dell'elenco di classe.
La libreria era stravolta, l'ordine degli scaffali modificato in funzione degli acquisti per la scuola. Ho fermato una commessa, mi sono fatta dare prezzi e coordinate. "Ma gli affari migliori, li trova lì, parete Sud - mi dice. Poi abbassando la voce - sono i libri che portano i giornalisti: ne ricevono così tanti che a volte ce li vendono così, non tolgono nemmeno il cellophane. Sono in ottimo stato, ultime uscite. A volte manca la primissima pagina, perché se c'è la dedica la strappano".
Confesso, ho provato imbarazzo. Sono uscita dalla libreria e dai miei panni.

(foto scattata sul lago di Lugano, in primavera)

giovedì 3 settembre 2009

Per Di(n)o

Dino Boffo, il direttore di Avvenire si è dimesso. L'inqualificabile attacco cui è stato sottoposto dal Giornale della famiglia del Cavaliere ha "violentato con volontà dissacratoria la mia vita", scrive Boffo. Le dimissioni sono state accolte dal cardinal Angelo Bagnasco. Hanno vinto lo squadrismo, l'omofobia, il moralismo superstizioso e becero di cui il Giornale si è fatto portavoce.


E' passato il principio che Boffo, che secondo il Giornale (e secondo un documento falso) ha patteggiato una condanna per molestie, non poteva alzare il dito contro il comportamento di Silvio Berlusconi e delle sue escort.

Feltri ha rigirato quel dito contro Boffo, con tutta la violenza possibile, così ha distratto i lettori. Tentava di nascondere la luna?

Il problema è questo: il presidente del Consiglio è sospettato di aver ricompensato le sue pulzelle con candidature a seggi elettorali. Non ha mai voluto chiarire la vicenda. Non risponde alle domande dei giornalisti che chiama "domandatori"; non risponde al Parlamento; non risponde che a se stesso.

Sotto le lenzuola ciascuno è libero di fare le capriole che vuole. A meno che non sia un uomo pubblico, ricattato proprio per quelle capriole.

domenica 30 agosto 2009

Lavorare sbanca

Si può anche vincere un posto di lavoro al supermercato. Per i suoi 30 anni una catena di grande distribuzione che ha sede a Varese, Legaland, mette in palio 10 posti di lavoro. Può vincerli chi fa almeno 30 euro di spesa (solo così si può compilare il coupon della fortuna), abbia compiuto 18 anni e sia residente in Italia. "Un modo originale e attento al territorio per festeggiare i primi trent'anni di attività", riportano le cronache cittadine del 29 agosto.

Nel Paese che confonde merito con meritocrazia, che blatera a vanvera sulla crisi, nemmeno un accenno alla professionalità. Importa a qualcuno sapere cosa sai fare e come lo fai? Un lavoro si vince o si gratta ("grattare" a Varese significa rubare). Sono 700 mila i tagliandi che saranno distribuiti fino al 30 settembre. Non è marketing, è proprio cultura, specchio di un mondo che sa pensare solo ai danèe.

mercoledì 26 agosto 2009

Senza Canottiera (veramente accaduto in Calabria)


Parcheggi l'utilitaria nella viuzza stretta di un paesino che ai nomi di personaggi della storia preferisce quello di mitili. Ma se via delle vongole non è completamente sgombra, il suv del vicino non passa. E così, appoggiati i bagagli, la crema solare ancora da spalmare, ti ritrovi a rispondere al citofono. E' l'Uomo in Canottiera che sbraita e aggredisce te, l'auto, il Nord d'Italia che arriva "a smaledire le strade nostre". Che se non fai subito, "poi l'auto si può rovinare e io nun n'di voddju sapire nente". (trad. "Non ne voglio saper niente").

Non è che non esistano le strade, nel paese dei mitili. Cozzaville è abusivo, attaccato come una patella sullo scoglio dove i greci hanno sacrificato a Hera; ci sono più case che abitanti. Le vie sono passaggi tra un portone e l'altro, tanto che oltre ai mitili hanno scomodato invertebrati, mammiferi, vegetali, purché marini. In via delle vongole le auto non sono in terza o quarta fila solo perché non ci sono le file. Un groviglio di lamiere blocca l'ingresso del garage, la strada, l'unico comodo passaggio verso la spiaggia. Bloccano anche l'ambulanza, una domenica mattina.

Il mare è tutto, nel paese dei mitili. Persino le fognature che sono in maggior parte improvvisate, si colorano sulla cartina solo quando si rompono e oplà, riversano oltre la spiaggia i liquami. E' il mare che dà senso a Cozzaville.

Il turismo è un prurito che colpisce una volta l'anno. Dura poco, è fastidioso. L'acqua dei rubinetti, fino a qualche anno fa, d'improvviso tra luglio e agosto svaporava. Il maniglione dell'acquedotto, tutti gli anni a settembre si scopriva chiuso. Ma un Uomo in Canottiera, provvidenziale, aveva intanto distribuito ettolitri di freschezza da un'autobotte. Prezzi da concordare, come al suk, anche se in regime di monopolio la trattativa era semplice e breve.

"Un'auto non si può rovinare da sola", dico, tanto per dire una cosa di senso. Non sarà mica una minaccia? L'Uomo in Canottiera è più basso di me, molto più grasso e anziano. Incute timore, si esprime in dialetto, fa intendere anche quel che non dice.

"Devi lavorare sul tema dell'autorità", mi consiglia un'amica-guru.

Sorrido e cerco un riparo per l'auto che - a pagare tutte le rate - sarà di famiglia nel 2011.

C'è un Uomo in Canottiera che dirige un camping con parcheggio. Presentata dalla nipote, mia vicina d'ombrellone, ottengo udienza. Non è da tutti farsi ricevere nel campeggio che rifiutò di ospitare una coppia con canadese. "Chissu è nu campeggiu seriu". (trad. "Questo è un campeggio serio")

"Pi vui fazzu n'eccezzjone. V'avissa fari pagari n'ottina d'euro u jornu, facimu sei" (Trad. "Per voi faccio eccezione. Dovrei farvi pagare 8 euro al giorno, ve ne chiedo 6"). E' fatta: un ripiego costoso per chi ha un garage, ma pazienza. Gli orari sono quelli del camping, dalle 8 a mezzanotte. Poi capita che torni alle 23 e 30 da una cena con amici e trovi il cancello chiuso: pazienza. Succede anche che devi prendere la macchina alle 8, ma è vietato: "Ca dorma u picciuliddu" (trad. "Perché dorme il bambino", nipotino dell'Uomo in Canottiera che dirige il campeggio). Pazienza? Ma allora perché pago? Sì, lo so: per l'Uomo in Canottiera, il primo che ho incontrato a Cozzaville.

Nel paese delle vongole un favore è un ex diritto che diventa concessione. E le vongole che fanno? Ringraziano.

giovedì 16 luglio 2009

Nell'inferno dei vegetariani


Se dici che sei vegetariano la vita più sembrare più semplice. Il mondo davanti a te diventa più chiaro; l’umanità sembra entrare tutta in cassetti preordinati: quelli che tentano di convertirti, quelli che ti ammirano, quelli che imbrogliando nascondono cotiche tra innocenti fagioli, quelli che “ma nemmeno il prosciutto?”. E’ solo la prima illusione, il gioco di un tetris che piano piano si disfa davanti a certezze granitiche come il ragù, cotolette-totem e pesci venerati come divinità pagane.

In questi 15 anni di vegetarianesimo convinto (nor fish, nor meat, che detto in italiano suona come un insulto) le cose sono molto cambiate, la soglia del paradiso resta lontana. La maggior parte dei bar continua a servire panini mozzarella e pomodoro come unica scelta, l’insalata è il piatto più caldeggiato dai ristoranti, lo strutto anche a Milano è sempre in agguato. E se sui treni trovi qualche anima gentile che si offre di togliere i gamberetti dal tramezzino, sugli aerei, o prenoti il menù, o muori di fame. L’altro veggie sul volo è incattivito da anni di guerra all’ultimo boccone e non cede nemmeno il tovagliolo.

Messe così le cose, è facile associare la scelta a un certo francescanesimo: privazioni, rinunce, tristezza e in ultima analisi, fame. Non si dimagrisce, questa è la differenza. Perché alla fine, in Italia, se sei vegetariano, ti ammazzi di carboidrati. Pane, pasta, pizza e dolci (nella foto, la panna cotta di Enzo Neri) sono un rifugio sicuro, anche psicologicamente. Un sedativo per placare la fame. Se ci metti anche il cioccolato puoi raggiungere lo sballo da auto-endorfine.

Impari a distinguere le regioni amiche da quelle ostili. In Liguria c’è cultura vegetariana fin nelle radici del basilico che serve per il pesto. Ti illudi che la luna di miele possa continuare anche in Toscana e scopri che dopo le pietre di Luni sei uno zombie: bistecche ovunque, proteine animali anche nel gelato. Grondano sangue l’Umbria, le Marche, il Lazio. Poi, verso sud, ti aiutano i formaggi, se li mangi, e le tradizioni contadine, in parte, ma ti devi augurare che i contadini siano stati molto, molto poveri e gli invasori non abbiano lasciato un gran segno.

In Sicilia, in cima a un cous-cous che sembrava l’Etna fumante può capitare di trovare un occhio di bue, non l’uovo, proprio il bulbo oculare. Certo, devi essere l’ospite d’onore, ma può capitare. Ultimamente le cose sono cambiate. La vita dei vegetariani è diventata un po’ meno avventurosa, ma non ancora sedentaria. Non puoi distrarti. La lettura della lista degli ingredienti è pratica obbligata. Non è questione di essere talebani del cibo, solo di rispetto per una scelta che non dovrebbe condizionare gli altri. Invece capita ancora di essere un fastidio aggiuntivo per le amiche che ti invitano al matrimonio e poi devono pensare al menù a parte per te. Nel resto del mondo, se ne occupa lo chef, non la sposa. Pochissimi i ristoranti vegetariani, concentrati per lo più nelle grandi città o su cucuzzoli irraggiungibili. Qualche insegna del buon gusto ha aperto finestre veggie, ma non fidatevi: c’è ancora chi vi lancia l’insalata sul piatto con lo sguardo che dice “Toh, bruca, vecchia capra”

giovedì 19 febbraio 2009

Che senso ha un blog?


Non scrivo diari da quando, avevo 11 anni, affidai la copertina del primo libro privato a mio padre. Avevo il senso dell'editing e dell'autorità. Disegnò per me un'oca, un'oca stilizzata e piuttosto brutta. Con questa didascalia: "Mai così nella vita, papà". 
Aveva il senso dell'umorismo. Me ne sono vergognata: ho chiuso il diario con un lucchetto e nascosto la chiave. 
A molti anni di distanza ci riprovo, da sola. Dire, condividere, ridere, ascoltare. Nell'era di internet, quando i lucchetti, che non proteggono le biciclette dai ladri, pretendiamo che significhino amore.