Quando si avvicina Natale, mi viene in mente Tommaso. Recitava per la prima volta, a quattro anni, nel presepe vivente della scuola, in rappresentanza dell’unica classe d’asilo. “Resta qui, dove vai?” insistevano le zie. E Tommaso: “Non posso, ho le prove”. Voleva tornare a casa, perché doveva recitare con gli amici. La prova dei tempi, la prova di canto, la prova dei costumi. Tutto un gran daffare per la recita di Natale davanti all’intero paese. Papà era pronto con la telecamera, mamma aveva cucito il vestito. “Ma che parte fai?”. “L’Uscellino”. Dovrà indossare ali colorate e un becco arancione per cappello. “Dai Tommy, recita per noi”. Tommaso spazientito, accetta di esibirsi dopo qualche bicchiere di succo di frutta e la promessa di nuovi bellissimi regali. Schiarisce la voce, cerca il posto giusto. Sgombera il tavolino del salotto. Sale su, come l’attore consumato sulle assi polverose di un teatro. Silenzio, buio, concentrazione: le braccia alte come ali. Poi, d’un fiato: “Cip”. E fuori parte: “Finito”.
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