Il ministro Alfano non è convinto: "La prima parte della Costituzione è intangibile, non condivido nessuno dei progetti presentati, perché non mi convincono".
E meno male, perché di danni fin qui ne hanno fatti già tanti i suoi colleghi di governo...
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sabato 30 aprile 2011
giovedì 28 aprile 2011
Marrakech
Questa foto è stata scattata il 3 novembre scorso dalla terrazza dell'Argana cafè, in piazza Jamaa el-Fna, distrutta da un'esplosione che non si sa ancora se sia di matrice terroristica.
Da quella terrazza, al tramonto, tutto sembra ricomporsi.
Jama el-Fna è riconosciuta dall'Unesco patrimonio dell'umanità non per la sua bellezza architettonica, ma per quanto vi succede ogni giorno, per le decine di spettacoli recitati in ogni angolo, per le botteghe artigiane che lavorano ferro e stoffe colorate, per gli incantatori di serpenti e gli ammaestratori di scimmie, per i cuochi che improvvisano cibi, per gli artisti di strada, i venditori di spezie, per chi centellina l'olio pregiato d'Argan, i fedeli che vanno alla moschea, i turisti che ne calcano il suolo. È il centro; l'inizio e la fine di ogni movimento. Immateriale, senza edifici di pregio, è l'enorme sagrato di un rito collettivo che trasforma il mercato della medina nella piazza dell'umanità. Senza ruderi, testimonia la storia del Marocco.
La terrazza dell'Argana, affacciata sul lato della moschea, ti fa uscire dal vortice per guardarlo dall'alto.
Da quella terrazza, al tramonto, tutto sembra ricomporsi.
Jama el-Fna è riconosciuta dall'Unesco patrimonio dell'umanità non per la sua bellezza architettonica, ma per quanto vi succede ogni giorno, per le decine di spettacoli recitati in ogni angolo, per le botteghe artigiane che lavorano ferro e stoffe colorate, per gli incantatori di serpenti e gli ammaestratori di scimmie, per i cuochi che improvvisano cibi, per gli artisti di strada, i venditori di spezie, per chi centellina l'olio pregiato d'Argan, i fedeli che vanno alla moschea, i turisti che ne calcano il suolo. È il centro; l'inizio e la fine di ogni movimento. Immateriale, senza edifici di pregio, è l'enorme sagrato di un rito collettivo che trasforma il mercato della medina nella piazza dell'umanità. Senza ruderi, testimonia la storia del Marocco.
La terrazza dell'Argana, affacciata sul lato della moschea, ti fa uscire dal vortice per guardarlo dall'alto.
mercoledì 27 aprile 2011
Il coraggio è femmina?
Non perdersi d'animo, diceva la nonna. E voleva dire non scoraggiarsi, perché animus, al maschile significa coraggio, al femminile anima: il latino è così, lingua di maschi guerrieri.
In Italia c'è un milione e mezzo di cittadini - tanti ne conta l'Istat - che sarebbe pure "disposto a lavorare", ma "non cerca un impiego convinto di non riuscire a trovarlo". Li chiamano "scoraggiati" e fanno massa con i 2,1 milioni di disoccupati ufficiali (quelli cioè che hanno cercato attivamente un'occupazione nelle quattro settimane precedenti l'intervista e sono pronti a lavorare entro le due settimane successive: questa è tecnicamente la definizione europea di disoccupato).
Gli appassionati di statistica e numeri possono leggere più in giù, tra le righe del comunicato stampa dell'Istat. Quel che fa male è che due terzi degli scoraggiati sono donne, impegnate in un far niente che sfido a definire dolce. L'Italia perde risorse. E lo sapevamo. Le donne perdono vita, perché il tempo corre. Perdiamo tutti schiene dritte, perché in queste rinunce si legge scoramento (che è peggio che essere scoraggiati e basta) e sindrome da risposte sempre uguali.
A completamento dell'indagine Istat, chiedo a chi ha un lavoro di guardarsi intorno e cominciare a passare i colleghi uno a uno: quanti di loro sono stati assunti per via di curriculum o di concorso, insomma secondo un minimo di gara vera, leale? Può essere utile, per capire l'apatia fotografata dall'Istat, per apprezzare il proprio ambiente di lavoro, anche, e molto altro.
Nel complesso coloro che si percepiscono "in cerca di occupazione" sono quasi 4,4 milioni (4.397.000) anche se sono solo meno della metà coloro che cercano attivamente lavoro e sono disponibili a cominciarlo entro due settimane e quindi sono formalmente disoccupati. Nella tabella sulla popolazione di 15 anni e oltre, infatti, alla domanda sulla propria "condizione" 22,4 milioni risultano occupati, 4,4 in cerca di occupazione mentre poco più di otto milioni sono casalinghe/i e 4,3 milioni studenti. I ritirati dal lavoro risultano 10,8 milioni mentre 1,5 milioni si dicono "in altra condizione". Gli scoraggiati sono aumentati del 10,6% rispetto alla media 2009 risiedono prevalentemente al Sud (1.080.000, oltre due terzi del totale) e sono soprattutto donne (i due terzi del totale con 1.015.000 persone).
Le donne scoraggiate nel Mezzogiorno sono 698.000 a fronte di appena 199.000 donne del Nord che dichiarano di non cercare lavoro perché ritengono di non riuscire a trovarlo. Gli uomini al Nord scoraggiati sulla possibilità di trovare lavoro sono solo 67.000 (40.000 dei quali con oltre 45 anni) mentre nel Mezzogiorno sono 382.000 (489.000 in Italia nel complesso). C'è una fascia consistente di scoraggiati anche nella classe di età tradizionalmente più attiva (389.000 tra i 35 e i 44 anni ma 294.000 di questi sono donne) e in quella tra i 45 e i 54 anni (397.000, 303.000 dei quali donne). Tra coloro che lavorano (22.872.000 in media nell'anno) i dipendenti sono 17.110.000 e tra questi gli operai sono ancora di più degli impiegati (7.997.000 a fronte di 7.303.000 impiegati, 1.174.000 quadri e 428.000 dirigenti). Gli apprendisti sono 201.000. Gli operai dell'industria sono 3,5 milioni (2,5 milioni dei quali nell'industria in senso stretto escluse quindi le costruzioni) mentre coloro che hanno la qualifica di operaio nei servizi sono quasi 4,1 milioni. E se il tasso di occupazione complessivo in Italia nel 2010 era al 56,9% rimane alto il divario tra Nord e Sud con Bolzano che risulta la provincia con la percentuale più alta di occupati (il 71,1%) e Crotone l'ultima in classifica (con il 36,9% di occupati nella fascia considerata) seguita da Napoli (il 37%) e Caserta (il 37,8%).
martedì 26 aprile 2011
mercoledì 20 aprile 2011
Tutti gli attacchi alla Costituzione, minuto per minuto
Ora puntano all'Articolo 1. Si vede che per mettere ordine al disegno eversivo cominciano dall'inizio. Ma quante devono farne ancora?
lunedì 18 aprile 2011
Chi sono i magistrati uccisi
Tutti inclusi, nel caso venisse in mente qualche altro manifesto per cacciare la "mafia" oltre che le "Br" dalle Procure...
Agostino PIANTA, il giorno 17 marzo 1969, era intento al lavoro nel suo ufficio, allorchè faceva ingresso nella sua stanza tale Loris Guizzardi il quale aveva insistito per parlare con il Procuratore della Repubblica. Il Guizzardi porgeva al Procuratore un certificato di detenzione e mentre quest'ultimo stava leggendo il documento, scaricava improvvisamente contro il magistrato 4 colpi di arma da fuoco determinandone in breve tempo la morte. Successivamente, identificato l'uccisore, questi risultava essere un pregiudicato, sottoposto a libertà vigilata, che aveva riportato numerose condanne, tra l'altro per omicidio e tentato omicidio, dalla Corte di Assise di Mantova e da quella di Brescia. Il Guizzardi, interrogato, dichiarava di non aver conosciuto in precedenza il dr. Pianta e di non avere subìto alcun torto da lui, ma di averlo deliberatamente ucciso perchè il magistrato rappresentava in Brescia la Magistratura che ingiustamente lo aveva condannato.
Pietro SCAGLIONE, il giorno 5 maggio 1971, si recava in Palermo al Cimitero dei Cappuccini per visitare la tomba della moglie; quindi proseguiva a bordo dell'autovettura di servizio guidata dall'agente di custodia Antonio Lo Russo per raggiungere il Palazzo di Giustizia di Palermo; improvvisamente, tre assassini esplodevano contro il magistrato e l'agente numerosi colpi di arma da fuoco che ne determinavano la morte; gli uccisori si dileguavano immediatamente.
Francesco FERLAINO il giorno 3 luglio 1975 verso le ore 13,30 stava rientrando nella propria abitazione a Lamezia Terme provenendo da Catanzaro dove aveva svolto la consueta attività lavorativa quale Avvocato Generale presso la Corte di Appello di Catanzaro. Egli, mentre stava scendendo dall'autovettura in prossimità dell'abitazione, veniva attinto alla schiena da due colpi di fucile esplosi da due sconosciuti che si trovavano a bordo di un'autovettura Alfa-Romeo; al fatto erano presenti altre persone di passaggio.
Francesco COCO, il giorno 8 luglio 1976, mentre stava rincasando in Genova facendo ritorno dall'ufficio, veniva colpito a morte da alcuni colpi di rivoltella, esplosi alle spalle a bruciapelo, e nello stesso modo perdevano la vita gli agenti di scorta il brigadiere Giovanni Saponara e l'appuntato Antioco Deiana. Dalle indagini svolte nelle immediatezze, risultava che l'agguato era stato compiuto da cinque persone. Due ore dopo il fatto criminoso, nell'aula della Corte di Assise di Torino, dove si stava celebrando il processo a carico di noti appartenenti all'organizzazione terroristica denominata «Brigate Rosse» (tra cui, Curcio, Franceschini, Ferrari), uno degli imputati leggeva un messaggio nel quale la detta organizzazione rivendicava la paternità del triplice omicidio. L'efferato episodio trovava indubbia causa nell'intendimento dei terroristi di volere punire il comportamento tenuto dal Procuratore Generale nel 1974 in occasione della liberazione del sostituto procuratore della Repubblica Mario Sossi, sequestrato per vario tempo dalle «Brigate Rosse». In particolare, onde ottenere la liberazione del dr. Sossi, la Corte di Assise di Appello di Genova aveva concesso la libertà ad alcuni detenuti, subordinando l'effettiva scarcerazione alla condizione che fosse assicurata l'integrità fisica del dr. Sossi; peraltro, quest'ultimo, una volta liberato, presentava la frattura di una costola e segni di pregresse lesioni, per cui Coco, Procuratore Generale, non eseguiva l'ordinanza di scarcerazione dei detenuti, la impugnava per cassazione ottenendone l'annullamento dalla Suprema Corte.
Vittorio OCCORSIO, il 10 luglio 1976 verso le ore 8,15, lasciava la sua abitazione sita in Roma Via Mogadiscio, per recarsi in ufficio presso la Procura della Repubblica, da solo a bordo della propria autovettura; a poca distanza, all'altezza di Via Giuba, veniva attinto da raffiche di mitra esplose da una o più persone a bordo di una motocicletta; il magistrato, colpito in diverse parti del corpo, decedeva immediatamente. All'interno della autovettura, venivano rinvenuti alcuni stampati con i quali il «Movimento Politico Ordine Nuovo» rivendicava l'esecuzione del magistrato, ritenuto colpevole «di avere, per opportunismo carrieristico, servito la dittatura democratica perseguitando i militanti di Ordine Nuovo e le idee di cui essi sono portatori».In realtà, OCCORSIO aveva proceduto all'istruzione di due distinti procedimenti a carico di numerosi esponenti e militanti del movimento suindicato, imputati di ricostituzione del partito fascista. Il primo processo era stato definito in primo grado con sentenza del 21 novembre 1973 della 1ª Sezione Penale del tribunale di Roma, a seguito della quale il Ministro dell'interno aveva ordinato lo scioglimento del movimento; il secondo processo, mentre era in corso di trattazione avanti la 3ª sezione penale pure del tribunale di Roma, era stato sospeso con ordinanza del Collegio in data 27 gennaio 1975, avverso la quale il dr. Occorsio aveva proposto ricorso per cassazione, accolto dalla Suprema Corte. Il magistrato, negli anni '70, aveva, altresì, istruito il processo per la strage avvenuta il 12 dicembre 1969 a Milano - Piazza Fontana - presso la Banca Nazionale della Agricoltura, collegata agli attentati avvenuti in pari data nella Capitale; detto procedimento, in sede dibattimentale era stato rimesso all'autorità giudiziaria di Milano per motivi di competenza.
Riccardo PALMA era direttore dell'ufficio VIII della Direzione Generale per gli Istituti di prevenzione e pena, che si occupa di edilizia penitenziaria. Il 14 febbraio 1978, il predetto lasciava la sua abitazione sita in Roma Piazza Lecce 11 verso le ore 9,30 per raggiungere l'ufficio presso il Ministero di Grazia e Giustizia; giunto in Via Forlì, mentre stava per salire sulla propria autovettura ivi parcheggiata, veniva colpito da raffiche di mitra Il magistrato, attinto al torace ed al viso decedeva immediatamente.
Girolamo TARTAGLIONE percorreva una brillante carriera in magistratura, ricoprendo posti di merito quale sostituto procuratore della Repubblica a S. Maria Capua Vetere ed a Napoli, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di S. Angelo dei Lombardi, consigliere della Corte di Appello di Bari; nonchè successivamente svolgeva la sua attività prima come applicato al Massimario della Corte di Cassazione e poi come Consigliere della Corte, addetto alle sezioni penali, con assegnazione anche alle Sezioni Unite Penali. Espletava le ulteriori funzioni quale Avvocato Generale presso la Corte di Appello di Napoli, e, quindi, nel 1976 veniva collocato fuori ruolo per esercitare le funzioni di direttore generale degli Affari Penali, presso il ministero di Grazia e Giustizia. La sua competenza ed attività nel settore penale, penitenziario, della criminologia erano conosciute ed apprezzate anche all'estero. Il giorno 10 ottobre 1978, il magistrato subiva un'azione terroristica che lo conduceva a morte; l'attentato era rivendicato da organizzazioni sovversive.
Fedele CALVOSA, il giorno 8.11.1978, subiva un gravissimo attentato in Patrica riportando ripetute ferite da arma da fuoco che ne provocavano il decesso per "shock traumatico ed emorragia consecutiva". Il delitto veniva rivendicato da formazioni politiche eversive.
Emilio ALESSANDRINI profondeva notevolissimo impegno nell'istruzione del processo per la strage di Piazza Fontana, dopo che il procedimento era stato trasmesso all'autorità giudiziaria di Milano per incompetenza di quella di Roma. Il 29.1.1979, verso le ore 8,30 il magistrato accompagnava con la propria autovettura il figlio Marco alle vicine scuole elementari; quindi, si dirigeva verso la propria abitazione per ivi parcheggiare il mezzo e poi recarsi a piedi in ufficio, presso la Procura della Repubblica. Fermatosi all'incrocio tra Viale Umbria e Via Muratori in Milano, ove era collocato un semaforo, veniva aggredito da due persone, facenti parte di un gruppo più ampio di cinque, che gli si avvicinavano esplodendogli contro numerosi colpi di pistola, che provocavano la subitanea morte del dr. ALESSANDRINI. Poco più tardi nella stessa mattinata, l'omicidio veniva rivendicato, tramite una telefonata alla redazione di un giornale, dall' "Organizzazione Comunista Combattente Prima Linea"; di eguale tenore era un volantino diffuso poco dopo.
Cesare TERRANOVA dal 1958 al 1971 prestava servizio al Tribunale di Palermo quale giudice istruttore penale; nel 1971 veniva nominato Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Marsala (dove prendeva servizio nel giugno dello stesso anno). Collocato in aspettativa per motivi elettorali il 20 maggio 1972 veniva eletto alla Camera dei Deputati per il collegio XXVIII/Catania, ed in tale legislatura faceva parte della IV Commissione Giustizia, nonchè partecipava in qualità di segretario alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della «mafia» in Sicilia. In data 2 luglio 1976, veniva rieletto deputato per la VII legislatura.Al termine della legislatura, il dott. TERRANOVA, con istanza in data 14 giugno 1979, chiedeva di essere richiamato in ruolo dall'aspettativa per mandato parlamentare e destinato al tribunale di Palermo con funzioni di Consigliere istruttore. Il Consiglio Superiore, con deliberazione del 10 luglio 1979, lo richiamava in servizio assegnandolo alla Corte di Appello di Palermo in qualità di consigliere, e di tale ufficio il magistrato prendeva possesso il 31 agosto 1979.Il 25 settembre dello stesso anno, verso le ore 8,30, il dott. TERRANOVA, a bordo della sua vettura, si apprestava a lasciare l'abitazione per recarsi in ufficio, allorchè veniva fatto segno di colpi d'arma da fuoco, che ne determinavano il decesso. Insieme a lui veniva colpito il maresciallo dr P.S. Lenin Mancuso, che pure decedeva poco dopo.
Nicola GIACUMBI. La sera del 16 marzo 1980 stava per rientrare a casa in Salerno assieme alla moglie, allorchè due individui scendevano da una macchina parcheggiata in prossimità dell'abitazione e, avvicinatisi al magistrato, esplodevano contro di lui numerosi colpi d'arma da fuoco che ne provocavano la morte. L'esecuzione veniva rivendicata dall'organizzazione terroristica denominata «Brigate rosse - colonna Fabrizio Pelli».
Girolamo MINERVINI ha svolto una intensissima attività in magistratura, profondendo il suo impegno in settori vari e distinguendosi in tutti per l'apporto professionale, culturale ed organizzativo fornito. Già in giovane età, negli anni dal 1947 al 1956, veniva assegnato al Ministero di Grazia e Giustizia - Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena -, dove dirigeva nell'ultimo periodo l'Ufficio II (personale di custodia). Trascorreva, quindi, un lungo periodo presso la Procura generale della Cassazione in qualità di applicato prima di tribunale e poi di appello; nel 1968 veniva nominato segretario presso il Consiglio Superiore della Magistratura. Dopo un breve periodo, durante l'anno 1973, nel quale prestava servizio presso la Corte di Appello di Roma in qualità di consigliere, faceva ritorno al Ministero di Grazia e Giustizia con funzioni di capo della segreteria della Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena.Quindi, nel novembre 1979 era ricollocato in ruolo e destinato alla Procura Generale della Cassazione con funzioni di sostituto.Il 18 marzo 1980 a Roma, a seguito di un'azione terroristica, Minervini veniva ucciso. Il delitto era rivendicato da formazioni politiche eversive.
Guido GALLI svolgeva le funzioni di giudice istruttore penale presso il tribunale di Milano. Il suo impegno culturale e professionale nel campo del diritto veniva esercitato anche in sede universitaria, nel cui ambito il dott. GALLI teneva corsi di criminologia prima presso l'Università di Modena e successivamente presso quella di Milano.Il 18 marzo 1980 era vittima di un'azione terroristica che ne causava la morte. Il delitto era rivendicato dalla formazione politica eversiva denominata «Prima linea - sezione Romano Tognini».
Mario AMATO svolgeva funzioni di sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Rovereto dal settembre 1971 a metà anno 1977. Il 30 giugno di detto anno prendeva servizio presso la Procura della Repubblica di Roma sempre in qualità di sostituto. Nell'esercizio delle funzioni in Roma, istruiva delicatissimi processi concernenti il c.d. «terrorismo nero», ricevendo minacce ed «avvertimenti» di vario genere.Il 23 giugno 1980, mentre si trovava presso la fermata dell'autobus che doveva portarlo presso gli uffici della Procura in Piazzale Clodio, il magistrato veniva colpito con un colpo di arma da fuoco alla testa e decedeva nelle immediatezze.L'uccisione veniva rivendicata da formazioni politiche eversive.
Gaetano COSTA, il giorno 6 agosto 1980 verso le ore 19,15, usciva dalla sua abitazione in Palermo per effettuare una passeggiata a piedi. Egli si trovava nella centrale Via Cavour sul marciapiede di fronte a quello ove era posta una sala cinematografica; improvvisamente, veniva colpito alle spalle da uno sconosciuto con tre colpi di pistola. Ne conseguiva il decesso del magistrato.Il dott. Costa, dal 1966 al 1978, esercitava le funzioni di Procuratore della Repubblica a Caltanissetta e nel luglio 1978 prendeva possesso del nuovo ufficio di Procuratore della Repubblica di Palermo.
Gian Giacomo CIACCIO-MONTALTO, entrato in magistratura nel 1970, veniva assegnato nel settembre 1971, con il conferimento delle funzioni giurisdizionali, alla Procura della Repubblica di Trapani in qualità di sostituto. In detta sede, il giovane magistrato mostrava un impegno elevatissimo affrontando nel modo più adeguato indagini e problematiche processuali delicatissime in campo mafioso.Il 25 gennaio 1993, a seguito di un grave attentato, il magistrato veniva ucciso con colpi di arma da fuoco.
Bruno CACCIA svolgeva tutta la sua attività in magistratura espletando funzioni requirenti, prima come sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Torino, poi come Procuratore della Repubblica di Aosta e successivamente come sostituto procuratore generale presso la Procura Generale di Torino; nel 1980 veniva nominato Procuratore della Repubblica di Torino.Il dott. Caccia si segnalava per avere partecipato negli anni 74-75 con il massimo impegno e diligenza all'istruzione (prima da solo e poi con il Giudice Istruttore) del gravoso ed imponente processo contro gli appartenenti alle «Brigate rosse» che si erano resi colpevoli del sequestro del Sostituto Procuratore di Genova dott. Mario Sossi e di altri efferati delitti (il processo era stato spostato per competenza a Torino ai sensi dell'art. 60 C.P.P. previgente).Il 26 giugno 1983 in Torino, il magistrato subiva un gravissimo attentato terroristico che, a causa delle numerose ferite da arma da fuoco riportate al capo ed al corpo, ne provocava la morte.
Il 29 luglio 1983 verso le ore 8,10 del mattino, in Via Giuseppe Pipitone Federico in Palermo, all'altezza del civico 59 ove abitavaRocco CHINNICI, Consigliere istruttore del Tribunale di Palermo, esplodeva violentemente una Fiat 126 pieno di carica di esplosivo. Nell'occorso decedevano il dr. Chinnici, (il quale si apprestava a salire in macchina per recarsi in Tribunale), il Maresciallo dei Carabinieri Mario Trapassi e l'Appuntato Salvatore Bartolotta, addetti al servizio di scorta del magistrato, nonchè il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi; venivano ferite anche 19 persone, fra le quali quattro Carabinieri addetti pure alla tutela del dr. Chinnici.Il magistrato, nominato Consigliere istruttore aggiunto presso il Tribunale di Palermo nel gennaio 1975 e Consigliere istruttore del medesimo ufficio nel gennaio 1980, dava un apporto decisivo nell'organizzare in modo adeguato e razionale l'ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, nell'intento di intervenire ed incidere in modo efficace e duraturo sul gravissimo fenomeno mafioso; all'uopo, conduceva e concludeva indagini di assoluta rilevanza e delicatezza, avvalendosi di un pool di colleghi di alto valore, tra cui Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
I Carabinieri di Trapani rinvenivano, il giorno 14 settembre 1988 alle ore 8,35 sulla Via Falconara di Locogrande (centro nelle vicinanze di Trapani) il cadavere di Alberto GIACOMELLI, già presidente della Sezione penale del Tribunale di Trapani, collocato in pensione il 1 maggio 1987. Il cadavere, supino sul margine destro dell'indicata via, era posto dietro l'autovettura di proprietà dell'ex-magistrato, presentava un colpo di arma da fuoco alla regione temporale destra ed un altro al lato destro dell'addome. Le indagini successivamente svolte in sede giudiziaria evidenziavano che il delitto era stato organizzato e portato a compimento da componenti della criminalità organizzata locale.
La sera del 25 settembre 1988, intorno alle ore 22, Antonino SAETTA, Presidente della 1ª Corte d'Assise d'Appello di Palermo, partiva in macchina assieme al figlio Stefano da Canicattì, dove la moglie esercitava l'attività di farmacista, per raggiungere la sua abitazione in Palermo. Mentre stava percorrendo la S.S. 640 in direzione di Caltanissetta, all'altezza del km. 48,500, l'autovettura del magistrato veniva affiancata da altra autovettura i cui componenti incominciavano ad esplodere colpi di arma da fuoco contro il dr. Saetta ed il figlio, così facendo per tutto il sorpasso, e provocando, tra l'altro, la rottura del parabrezza e dei vetri degli sportelli. La macchina del magistrato si fermava circa 100 metri in avanti in posizione di normale sosta, per cui, gli assassini, non sicuri che gli occupanti del mezzo fossero deceduti, scendevano dalla loro autovettura e colpivano ancora ripetutamente le vittime in modo definitivo.Il dr. Saetta ha svolto una lunga carriera esercitando molteplici funzioni, quale giudice di tribunale a Caltanissetta e Palermo, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sciacca, Consigliere di Corte di appello a Genova e Palermo, Presidente di Sezione presso la Corte di appello prima di Caltanissetta e, poi, di Palermo
Rosario Angelo LIVATINO svolgeva funzioni di sostituto procuratore della repubblica presso il Tribunale di Agrigento nel periodo del 24 settembre 1979 all'agosto 1989; in data 28 agosto 1989 veniva trasferito al Tribunale di Agrigento in qualità di giudice addetto alla sezione penale.Nell'espletamento di entrambe le funzioni, il magistrato si occupava di delicati procedimenti concernenti persone associate alla mafia. Il 21 settembre 1990 alle ore 8,45 circa, il dott. Livatino si allontanavano in macchina da Canicattì dove risiedeva per recarsi in Agrigento presso il Tribunale; giunto a 5 Km da quest'ultima località, venivano esplosi vari colpi di arma da fuoco contro di lui, il che determinava la rottura del parabrezza anteriore e del lunotto posteriore del suo mezzo. Il magistrato, rilevato di essere bloccato da altro autoveicolo, faceva marcia indietro andando ad urtare contro il gard-rail, scendeva dall'auto e fuggiva a piedi attraverso la scarpata sottostante, ove, inseguito dagli aggressori scesi da una motocicletta, veniva colpito in modo mortale.
Antonio SCOPELLITI svolgeva la carriera di magistrato nell'esercizio di funzioni requirenti, come sostituto presso la Procura della Repubblica di Roma e, per diversi anni, presso quella di Milano; veniva, poi, nominato magistrato di appello applicato alla Procura Generale della Cassazione ed in prosieguo Sostituto Procuratore Generale. Nell'espletamento sia delle funzioni di merito che in sede di legittimità, più volte era titolare, in sede requirente, di processi di notevole rilievo. In data 9 agosto 1991 verso le ore 17,25, il dott. Scopelliti, in ferie nella terra d'origine, stava percorrendo a bordo della sua autovettura la strada provinciale di collegamento tra Villa S. Giovanni e Campo Calabro, allorchè era affiancato da altra vettura, dalla quale venivano esplosi due colpi di arma da fuoco che colpivano il magistrato nella parte sinistra del collo; l'auto con a bordo il dott. Scopelliti precipitava in un vigneto sottostante capovolgendosi, ed il predetto decedeva.
Giovanni FALCONE, entrato in magistratura nel 1964, svolgeva le funzioni giurisdizionali quale Pretore di Lentini, sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Trapani e giudice pressolo stesso Tribunale; nel luglio 1978 veniva trasferito al Tribunale di Palermo ove esercitava le funzioni di giudice istruttore penale; nell'ottobre1989 veniva trasferito alla procura della Repubblica di Palermo in qualità di procuratore aggiunto. Nel marzo 1991 era collocato fuori ruolo per assumere l'incarico di Direttore generale degli Affari Penali presso il Ministero di Grazia e Giustizia. FALCONE, unitamente ai consiglieri istruttori dell'epoca e ad altri colleghi dell'ufficio instruzione, dava un impulso eccezionale alle indagini intese a circoscrivere e debellare il fenomeno mafioso. Tra le indagini più rilevanti va ricordato il processo a carico di Spatola Rosario e altri 119 imputati, avente ad oggetto i reati di associazione a delinquere, traffico di stupefacenti, ricettazione ed altri illeciti penali, con collegamenti con altre pericolose associazioni mafiose nazionali ed internazionali (la sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio constava di 1000 pagine). Di gran rilievo, era il lavoro svolto da FALCONE, unitamente ai colleghi Paolo Borsellino - Leonardo Guarnotta - Giuseppe Di Lello, nell'istruzione del procedimento penale contro Abbate Giovanni + altri 706 imputati (c.d. maxiprocesso), ai quali era contestata la perpetrazione di circa un centinaio di omicidi, l'associazione per delinquere di stampo mafioso, lo spaccio di grandi quantità di droga ed altri delitti (la sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio constava di oltre 8000 pagine raccolte in 40 volumi).Il 23 maggio 1992, il dott. Falcone, unitamente alla moglie Francesca MORVILLO anch'ella magistrato, faceva ritorno mediante aereo militare a Palermo proveniente da Roma. I predetti stavano percorrendo, a bordo di un'auto blindata scordata da altre due vetture blindate, l'autostrada che congiunge l'aeroporto di Punta Raisi con Palermo, allorchè, all'altezza della località «Capaci», aveva luogo una violentissima esplosione che creava un profondo cratere nella sede stradale. Nell'occorso, perdevano la vita i due magistrati e gli agenti Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro e Vito Schifano.
Francesca MORVILLO decedeva, appunto, assieme al coniuge Giovanni FALCONE nell'attentato di Capaci il 23 maggio 1992.Nel corso della carriera, esercitava le funzioni di giudice del tribunale di Agrigento, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Palermo, di Consigliere della Corte di appello di Palermo. All'epoca dell'attentato, era componente della Commissione per il concorso di accesso in magistratura
Paolo BORSELLINO, entrato in magistratura nel 1964, esercitava le funzioni giurisdizionali quale giudice del Tribunale di Enna, pretore di Mazara del Vallo e di Marsala; nel 1975 prendeva servizio presso il Tribunale di Palermo ove svolgeva le funzioni di giudice istruttore penale; nel luglio 1986 veniva nominato procuratore della Repubblica di Marsala, e nel marzo 1992 faceva ritorno negli uffici palermitani assumendo le funzioni di procuratore della Repubblica aggiunto. BORSELLINO, unitamente a Giovanni FALCONE, faceva parte, nel periodo della sua permanenza presso l'ufficio istruzione penale del tribunale di Palermo, del pool di magistrati (diretto dai Consiglieri istruttori Rocco CHINNICI prima, e Antonio CAPONNETTO poi) impegnato in modo professionale elevatissimo e con una dedizione a tempo pieno eccezionale ad inquisire la criminalità mafiosa nei suoi più svariati aspetti. Il predetto, tra gli altri, istruiva il processo a carico della mafia di Altofonte con 21 imputati, quello a carico di Bonanno ed altri nove coimputati per l'omicidio in persona del capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, il procedimento a carico di Filippo Marchese e altri 14 imputati per l'omicidio in persona del vice Questore Boris Giuliano. Partecipava all'istruzione, assieme a Giovanni Falcone, Leonardo Guarnotta, Giuseppe Di Lello, del c.d. maxi-processo contro la mafia, con 707 imputati, che imponeva ai magistrati un lavoro di indagini di assoluta complessità e delicatezza, che si concludeva con la redazione di una sentenza-ordinanza di oltre 8.000 pagine (in cui la posizione di ciascuno dei 475 imputati rinviati a giudizio veniva compendiata in apposite schede); tale imponente lavoro istruttorio consentiva una conoscenza del tutto inedita del fenomeno mafioso. Il giorno 19 luglio 1992 - domenica (a meno di due mesi dall'eccidio di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e di tre agenti della scorta), verso le ore 18, Paolo Borsellino si stava recando a visitare la madre in Via D'Amelio a Palermo; giunto davanti al portone d'ingresso scendeva dall'auto blindata sotto la vigilanza della scorta: in quel momento si verificava una deflagrazione violentissima proveniente da un'autovettura FIAT 126 parcheggiata di fronte al portone che determinava danni gravissimi alle abitazioni circostanti e a numerose vetture parcheggiate nelle vicinanze. Così il magistrato perdeva la vita, e con lui cinque agenti: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cosina, Claudio Traina, Vincenzo Limuli.
Luigi DAGA, direttore dell'Ufficio Studi e Ricerche del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria presso il Ministero di Grazia e Giustizia, veniva inviato in missione al Cairo dal 23 al 29 ottobre 1993 per partecipare, in qualità di relatore, al VI Congresso dell'Associazione egiziana di Diritto Criminale. Il magistrato avrebbe dovuto svolgere una relazione nell'ambito della tavola rotonda sul nuovo codice penale francese ed il progetto di riforma del codice penale italiano. Il 26 ottobre, il predetto subiva un sanguinoso attentato presso l'Hotel Semiramis de Il Cairo, che ne provocava poi, il decesso in Roma il successivo 17 novembre 1993. DAGA, che ha trascorso una lunga parte della sua carriera presso gli uffici dell'Amministrazione Penitenziaria, era uno studioso e profondo conoscitore, apprezzato in sede internazionale, di ogni problematica del «carcere» e del mondo penitenziario.
Non dimentichiamo inoltre i 29 carabinieri e poliziotti morti per la difesa dei magistrati
Fonte: ufficio studi del CSM
Agostino PIANTA, il giorno 17 marzo 1969, era intento al lavoro nel suo ufficio, allorchè faceva ingresso nella sua stanza tale Loris Guizzardi il quale aveva insistito per parlare con il Procuratore della Repubblica. Il Guizzardi porgeva al Procuratore un certificato di detenzione e mentre quest'ultimo stava leggendo il documento, scaricava improvvisamente contro il magistrato 4 colpi di arma da fuoco determinandone in breve tempo la morte. Successivamente, identificato l'uccisore, questi risultava essere un pregiudicato, sottoposto a libertà vigilata, che aveva riportato numerose condanne, tra l'altro per omicidio e tentato omicidio, dalla Corte di Assise di Mantova e da quella di Brescia. Il Guizzardi, interrogato, dichiarava di non aver conosciuto in precedenza il dr. Pianta e di non avere subìto alcun torto da lui, ma di averlo deliberatamente ucciso perchè il magistrato rappresentava in Brescia la Magistratura che ingiustamente lo aveva condannato.
Pietro SCAGLIONE, il giorno 5 maggio 1971, si recava in Palermo al Cimitero dei Cappuccini per visitare la tomba della moglie; quindi proseguiva a bordo dell'autovettura di servizio guidata dall'agente di custodia Antonio Lo Russo per raggiungere il Palazzo di Giustizia di Palermo; improvvisamente, tre assassini esplodevano contro il magistrato e l'agente numerosi colpi di arma da fuoco che ne determinavano la morte; gli uccisori si dileguavano immediatamente.
Francesco FERLAINO il giorno 3 luglio 1975 verso le ore 13,30 stava rientrando nella propria abitazione a Lamezia Terme provenendo da Catanzaro dove aveva svolto la consueta attività lavorativa quale Avvocato Generale presso la Corte di Appello di Catanzaro. Egli, mentre stava scendendo dall'autovettura in prossimità dell'abitazione, veniva attinto alla schiena da due colpi di fucile esplosi da due sconosciuti che si trovavano a bordo di un'autovettura Alfa-Romeo; al fatto erano presenti altre persone di passaggio.
Francesco COCO, il giorno 8 luglio 1976, mentre stava rincasando in Genova facendo ritorno dall'ufficio, veniva colpito a morte da alcuni colpi di rivoltella, esplosi alle spalle a bruciapelo, e nello stesso modo perdevano la vita gli agenti di scorta il brigadiere Giovanni Saponara e l'appuntato Antioco Deiana. Dalle indagini svolte nelle immediatezze, risultava che l'agguato era stato compiuto da cinque persone. Due ore dopo il fatto criminoso, nell'aula della Corte di Assise di Torino, dove si stava celebrando il processo a carico di noti appartenenti all'organizzazione terroristica denominata «Brigate Rosse» (tra cui, Curcio, Franceschini, Ferrari), uno degli imputati leggeva un messaggio nel quale la detta organizzazione rivendicava la paternità del triplice omicidio. L'efferato episodio trovava indubbia causa nell'intendimento dei terroristi di volere punire il comportamento tenuto dal Procuratore Generale nel 1974 in occasione della liberazione del sostituto procuratore della Repubblica Mario Sossi, sequestrato per vario tempo dalle «Brigate Rosse». In particolare, onde ottenere la liberazione del dr. Sossi, la Corte di Assise di Appello di Genova aveva concesso la libertà ad alcuni detenuti, subordinando l'effettiva scarcerazione alla condizione che fosse assicurata l'integrità fisica del dr. Sossi; peraltro, quest'ultimo, una volta liberato, presentava la frattura di una costola e segni di pregresse lesioni, per cui Coco, Procuratore Generale, non eseguiva l'ordinanza di scarcerazione dei detenuti, la impugnava per cassazione ottenendone l'annullamento dalla Suprema Corte.
Vittorio OCCORSIO, il 10 luglio 1976 verso le ore 8,15, lasciava la sua abitazione sita in Roma Via Mogadiscio, per recarsi in ufficio presso la Procura della Repubblica, da solo a bordo della propria autovettura; a poca distanza, all'altezza di Via Giuba, veniva attinto da raffiche di mitra esplose da una o più persone a bordo di una motocicletta; il magistrato, colpito in diverse parti del corpo, decedeva immediatamente. All'interno della autovettura, venivano rinvenuti alcuni stampati con i quali il «Movimento Politico Ordine Nuovo» rivendicava l'esecuzione del magistrato, ritenuto colpevole «di avere, per opportunismo carrieristico, servito la dittatura democratica perseguitando i militanti di Ordine Nuovo e le idee di cui essi sono portatori».In realtà, OCCORSIO aveva proceduto all'istruzione di due distinti procedimenti a carico di numerosi esponenti e militanti del movimento suindicato, imputati di ricostituzione del partito fascista. Il primo processo era stato definito in primo grado con sentenza del 21 novembre 1973 della 1ª Sezione Penale del tribunale di Roma, a seguito della quale il Ministro dell'interno aveva ordinato lo scioglimento del movimento; il secondo processo, mentre era in corso di trattazione avanti la 3ª sezione penale pure del tribunale di Roma, era stato sospeso con ordinanza del Collegio in data 27 gennaio 1975, avverso la quale il dr. Occorsio aveva proposto ricorso per cassazione, accolto dalla Suprema Corte. Il magistrato, negli anni '70, aveva, altresì, istruito il processo per la strage avvenuta il 12 dicembre 1969 a Milano - Piazza Fontana - presso la Banca Nazionale della Agricoltura, collegata agli attentati avvenuti in pari data nella Capitale; detto procedimento, in sede dibattimentale era stato rimesso all'autorità giudiziaria di Milano per motivi di competenza.
Riccardo PALMA era direttore dell'ufficio VIII della Direzione Generale per gli Istituti di prevenzione e pena, che si occupa di edilizia penitenziaria. Il 14 febbraio 1978, il predetto lasciava la sua abitazione sita in Roma Piazza Lecce 11 verso le ore 9,30 per raggiungere l'ufficio presso il Ministero di Grazia e Giustizia; giunto in Via Forlì, mentre stava per salire sulla propria autovettura ivi parcheggiata, veniva colpito da raffiche di mitra Il magistrato, attinto al torace ed al viso decedeva immediatamente.
Girolamo TARTAGLIONE percorreva una brillante carriera in magistratura, ricoprendo posti di merito quale sostituto procuratore della Repubblica a S. Maria Capua Vetere ed a Napoli, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di S. Angelo dei Lombardi, consigliere della Corte di Appello di Bari; nonchè successivamente svolgeva la sua attività prima come applicato al Massimario della Corte di Cassazione e poi come Consigliere della Corte, addetto alle sezioni penali, con assegnazione anche alle Sezioni Unite Penali. Espletava le ulteriori funzioni quale Avvocato Generale presso la Corte di Appello di Napoli, e, quindi, nel 1976 veniva collocato fuori ruolo per esercitare le funzioni di direttore generale degli Affari Penali, presso il ministero di Grazia e Giustizia. La sua competenza ed attività nel settore penale, penitenziario, della criminologia erano conosciute ed apprezzate anche all'estero. Il giorno 10 ottobre 1978, il magistrato subiva un'azione terroristica che lo conduceva a morte; l'attentato era rivendicato da organizzazioni sovversive.
Fedele CALVOSA, il giorno 8.11.1978, subiva un gravissimo attentato in Patrica riportando ripetute ferite da arma da fuoco che ne provocavano il decesso per "shock traumatico ed emorragia consecutiva". Il delitto veniva rivendicato da formazioni politiche eversive.
Emilio ALESSANDRINI profondeva notevolissimo impegno nell'istruzione del processo per la strage di Piazza Fontana, dopo che il procedimento era stato trasmesso all'autorità giudiziaria di Milano per incompetenza di quella di Roma. Il 29.1.1979, verso le ore 8,30 il magistrato accompagnava con la propria autovettura il figlio Marco alle vicine scuole elementari; quindi, si dirigeva verso la propria abitazione per ivi parcheggiare il mezzo e poi recarsi a piedi in ufficio, presso la Procura della Repubblica. Fermatosi all'incrocio tra Viale Umbria e Via Muratori in Milano, ove era collocato un semaforo, veniva aggredito da due persone, facenti parte di un gruppo più ampio di cinque, che gli si avvicinavano esplodendogli contro numerosi colpi di pistola, che provocavano la subitanea morte del dr. ALESSANDRINI. Poco più tardi nella stessa mattinata, l'omicidio veniva rivendicato, tramite una telefonata alla redazione di un giornale, dall' "Organizzazione Comunista Combattente Prima Linea"; di eguale tenore era un volantino diffuso poco dopo.
Cesare TERRANOVA dal 1958 al 1971 prestava servizio al Tribunale di Palermo quale giudice istruttore penale; nel 1971 veniva nominato Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Marsala (dove prendeva servizio nel giugno dello stesso anno). Collocato in aspettativa per motivi elettorali il 20 maggio 1972 veniva eletto alla Camera dei Deputati per il collegio XXVIII/Catania, ed in tale legislatura faceva parte della IV Commissione Giustizia, nonchè partecipava in qualità di segretario alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della «mafia» in Sicilia. In data 2 luglio 1976, veniva rieletto deputato per la VII legislatura.Al termine della legislatura, il dott. TERRANOVA, con istanza in data 14 giugno 1979, chiedeva di essere richiamato in ruolo dall'aspettativa per mandato parlamentare e destinato al tribunale di Palermo con funzioni di Consigliere istruttore. Il Consiglio Superiore, con deliberazione del 10 luglio 1979, lo richiamava in servizio assegnandolo alla Corte di Appello di Palermo in qualità di consigliere, e di tale ufficio il magistrato prendeva possesso il 31 agosto 1979.Il 25 settembre dello stesso anno, verso le ore 8,30, il dott. TERRANOVA, a bordo della sua vettura, si apprestava a lasciare l'abitazione per recarsi in ufficio, allorchè veniva fatto segno di colpi d'arma da fuoco, che ne determinavano il decesso. Insieme a lui veniva colpito il maresciallo dr P.S. Lenin Mancuso, che pure decedeva poco dopo.
Nicola GIACUMBI. La sera del 16 marzo 1980 stava per rientrare a casa in Salerno assieme alla moglie, allorchè due individui scendevano da una macchina parcheggiata in prossimità dell'abitazione e, avvicinatisi al magistrato, esplodevano contro di lui numerosi colpi d'arma da fuoco che ne provocavano la morte. L'esecuzione veniva rivendicata dall'organizzazione terroristica denominata «Brigate rosse - colonna Fabrizio Pelli».
Girolamo MINERVINI ha svolto una intensissima attività in magistratura, profondendo il suo impegno in settori vari e distinguendosi in tutti per l'apporto professionale, culturale ed organizzativo fornito. Già in giovane età, negli anni dal 1947 al 1956, veniva assegnato al Ministero di Grazia e Giustizia - Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena -, dove dirigeva nell'ultimo periodo l'Ufficio II (personale di custodia). Trascorreva, quindi, un lungo periodo presso la Procura generale della Cassazione in qualità di applicato prima di tribunale e poi di appello; nel 1968 veniva nominato segretario presso il Consiglio Superiore della Magistratura. Dopo un breve periodo, durante l'anno 1973, nel quale prestava servizio presso la Corte di Appello di Roma in qualità di consigliere, faceva ritorno al Ministero di Grazia e Giustizia con funzioni di capo della segreteria della Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena.Quindi, nel novembre 1979 era ricollocato in ruolo e destinato alla Procura Generale della Cassazione con funzioni di sostituto.Il 18 marzo 1980 a Roma, a seguito di un'azione terroristica, Minervini veniva ucciso. Il delitto era rivendicato da formazioni politiche eversive.
Guido GALLI svolgeva le funzioni di giudice istruttore penale presso il tribunale di Milano. Il suo impegno culturale e professionale nel campo del diritto veniva esercitato anche in sede universitaria, nel cui ambito il dott. GALLI teneva corsi di criminologia prima presso l'Università di Modena e successivamente presso quella di Milano.Il 18 marzo 1980 era vittima di un'azione terroristica che ne causava la morte. Il delitto era rivendicato dalla formazione politica eversiva denominata «Prima linea - sezione Romano Tognini».
Mario AMATO svolgeva funzioni di sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Rovereto dal settembre 1971 a metà anno 1977. Il 30 giugno di detto anno prendeva servizio presso la Procura della Repubblica di Roma sempre in qualità di sostituto. Nell'esercizio delle funzioni in Roma, istruiva delicatissimi processi concernenti il c.d. «terrorismo nero», ricevendo minacce ed «avvertimenti» di vario genere.Il 23 giugno 1980, mentre si trovava presso la fermata dell'autobus che doveva portarlo presso gli uffici della Procura in Piazzale Clodio, il magistrato veniva colpito con un colpo di arma da fuoco alla testa e decedeva nelle immediatezze.L'uccisione veniva rivendicata da formazioni politiche eversive.
Gaetano COSTA, il giorno 6 agosto 1980 verso le ore 19,15, usciva dalla sua abitazione in Palermo per effettuare una passeggiata a piedi. Egli si trovava nella centrale Via Cavour sul marciapiede di fronte a quello ove era posta una sala cinematografica; improvvisamente, veniva colpito alle spalle da uno sconosciuto con tre colpi di pistola. Ne conseguiva il decesso del magistrato.Il dott. Costa, dal 1966 al 1978, esercitava le funzioni di Procuratore della Repubblica a Caltanissetta e nel luglio 1978 prendeva possesso del nuovo ufficio di Procuratore della Repubblica di Palermo.
Gian Giacomo CIACCIO-MONTALTO, entrato in magistratura nel 1970, veniva assegnato nel settembre 1971, con il conferimento delle funzioni giurisdizionali, alla Procura della Repubblica di Trapani in qualità di sostituto. In detta sede, il giovane magistrato mostrava un impegno elevatissimo affrontando nel modo più adeguato indagini e problematiche processuali delicatissime in campo mafioso.Il 25 gennaio 1993, a seguito di un grave attentato, il magistrato veniva ucciso con colpi di arma da fuoco.
Bruno CACCIA svolgeva tutta la sua attività in magistratura espletando funzioni requirenti, prima come sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Torino, poi come Procuratore della Repubblica di Aosta e successivamente come sostituto procuratore generale presso la Procura Generale di Torino; nel 1980 veniva nominato Procuratore della Repubblica di Torino.Il dott. Caccia si segnalava per avere partecipato negli anni 74-75 con il massimo impegno e diligenza all'istruzione (prima da solo e poi con il Giudice Istruttore) del gravoso ed imponente processo contro gli appartenenti alle «Brigate rosse» che si erano resi colpevoli del sequestro del Sostituto Procuratore di Genova dott. Mario Sossi e di altri efferati delitti (il processo era stato spostato per competenza a Torino ai sensi dell'art. 60 C.P.P. previgente).Il 26 giugno 1983 in Torino, il magistrato subiva un gravissimo attentato terroristico che, a causa delle numerose ferite da arma da fuoco riportate al capo ed al corpo, ne provocava la morte.
Il 29 luglio 1983 verso le ore 8,10 del mattino, in Via Giuseppe Pipitone Federico in Palermo, all'altezza del civico 59 ove abitavaRocco CHINNICI, Consigliere istruttore del Tribunale di Palermo, esplodeva violentemente una Fiat 126 pieno di carica di esplosivo. Nell'occorso decedevano il dr. Chinnici, (il quale si apprestava a salire in macchina per recarsi in Tribunale), il Maresciallo dei Carabinieri Mario Trapassi e l'Appuntato Salvatore Bartolotta, addetti al servizio di scorta del magistrato, nonchè il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi; venivano ferite anche 19 persone, fra le quali quattro Carabinieri addetti pure alla tutela del dr. Chinnici.Il magistrato, nominato Consigliere istruttore aggiunto presso il Tribunale di Palermo nel gennaio 1975 e Consigliere istruttore del medesimo ufficio nel gennaio 1980, dava un apporto decisivo nell'organizzare in modo adeguato e razionale l'ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, nell'intento di intervenire ed incidere in modo efficace e duraturo sul gravissimo fenomeno mafioso; all'uopo, conduceva e concludeva indagini di assoluta rilevanza e delicatezza, avvalendosi di un pool di colleghi di alto valore, tra cui Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
I Carabinieri di Trapani rinvenivano, il giorno 14 settembre 1988 alle ore 8,35 sulla Via Falconara di Locogrande (centro nelle vicinanze di Trapani) il cadavere di Alberto GIACOMELLI, già presidente della Sezione penale del Tribunale di Trapani, collocato in pensione il 1 maggio 1987. Il cadavere, supino sul margine destro dell'indicata via, era posto dietro l'autovettura di proprietà dell'ex-magistrato, presentava un colpo di arma da fuoco alla regione temporale destra ed un altro al lato destro dell'addome. Le indagini successivamente svolte in sede giudiziaria evidenziavano che il delitto era stato organizzato e portato a compimento da componenti della criminalità organizzata locale.
La sera del 25 settembre 1988, intorno alle ore 22, Antonino SAETTA, Presidente della 1ª Corte d'Assise d'Appello di Palermo, partiva in macchina assieme al figlio Stefano da Canicattì, dove la moglie esercitava l'attività di farmacista, per raggiungere la sua abitazione in Palermo. Mentre stava percorrendo la S.S. 640 in direzione di Caltanissetta, all'altezza del km. 48,500, l'autovettura del magistrato veniva affiancata da altra autovettura i cui componenti incominciavano ad esplodere colpi di arma da fuoco contro il dr. Saetta ed il figlio, così facendo per tutto il sorpasso, e provocando, tra l'altro, la rottura del parabrezza e dei vetri degli sportelli. La macchina del magistrato si fermava circa 100 metri in avanti in posizione di normale sosta, per cui, gli assassini, non sicuri che gli occupanti del mezzo fossero deceduti, scendevano dalla loro autovettura e colpivano ancora ripetutamente le vittime in modo definitivo.Il dr. Saetta ha svolto una lunga carriera esercitando molteplici funzioni, quale giudice di tribunale a Caltanissetta e Palermo, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sciacca, Consigliere di Corte di appello a Genova e Palermo, Presidente di Sezione presso la Corte di appello prima di Caltanissetta e, poi, di Palermo
Rosario Angelo LIVATINO svolgeva funzioni di sostituto procuratore della repubblica presso il Tribunale di Agrigento nel periodo del 24 settembre 1979 all'agosto 1989; in data 28 agosto 1989 veniva trasferito al Tribunale di Agrigento in qualità di giudice addetto alla sezione penale.Nell'espletamento di entrambe le funzioni, il magistrato si occupava di delicati procedimenti concernenti persone associate alla mafia. Il 21 settembre 1990 alle ore 8,45 circa, il dott. Livatino si allontanavano in macchina da Canicattì dove risiedeva per recarsi in Agrigento presso il Tribunale; giunto a 5 Km da quest'ultima località, venivano esplosi vari colpi di arma da fuoco contro di lui, il che determinava la rottura del parabrezza anteriore e del lunotto posteriore del suo mezzo. Il magistrato, rilevato di essere bloccato da altro autoveicolo, faceva marcia indietro andando ad urtare contro il gard-rail, scendeva dall'auto e fuggiva a piedi attraverso la scarpata sottostante, ove, inseguito dagli aggressori scesi da una motocicletta, veniva colpito in modo mortale.
Antonio SCOPELLITI svolgeva la carriera di magistrato nell'esercizio di funzioni requirenti, come sostituto presso la Procura della Repubblica di Roma e, per diversi anni, presso quella di Milano; veniva, poi, nominato magistrato di appello applicato alla Procura Generale della Cassazione ed in prosieguo Sostituto Procuratore Generale. Nell'espletamento sia delle funzioni di merito che in sede di legittimità, più volte era titolare, in sede requirente, di processi di notevole rilievo. In data 9 agosto 1991 verso le ore 17,25, il dott. Scopelliti, in ferie nella terra d'origine, stava percorrendo a bordo della sua autovettura la strada provinciale di collegamento tra Villa S. Giovanni e Campo Calabro, allorchè era affiancato da altra vettura, dalla quale venivano esplosi due colpi di arma da fuoco che colpivano il magistrato nella parte sinistra del collo; l'auto con a bordo il dott. Scopelliti precipitava in un vigneto sottostante capovolgendosi, ed il predetto decedeva.
Giovanni FALCONE, entrato in magistratura nel 1964, svolgeva le funzioni giurisdizionali quale Pretore di Lentini, sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Trapani e giudice pressolo stesso Tribunale; nel luglio 1978 veniva trasferito al Tribunale di Palermo ove esercitava le funzioni di giudice istruttore penale; nell'ottobre1989 veniva trasferito alla procura della Repubblica di Palermo in qualità di procuratore aggiunto. Nel marzo 1991 era collocato fuori ruolo per assumere l'incarico di Direttore generale degli Affari Penali presso il Ministero di Grazia e Giustizia. FALCONE, unitamente ai consiglieri istruttori dell'epoca e ad altri colleghi dell'ufficio instruzione, dava un impulso eccezionale alle indagini intese a circoscrivere e debellare il fenomeno mafioso. Tra le indagini più rilevanti va ricordato il processo a carico di Spatola Rosario e altri 119 imputati, avente ad oggetto i reati di associazione a delinquere, traffico di stupefacenti, ricettazione ed altri illeciti penali, con collegamenti con altre pericolose associazioni mafiose nazionali ed internazionali (la sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio constava di 1000 pagine). Di gran rilievo, era il lavoro svolto da FALCONE, unitamente ai colleghi Paolo Borsellino - Leonardo Guarnotta - Giuseppe Di Lello, nell'istruzione del procedimento penale contro Abbate Giovanni + altri 706 imputati (c.d. maxiprocesso), ai quali era contestata la perpetrazione di circa un centinaio di omicidi, l'associazione per delinquere di stampo mafioso, lo spaccio di grandi quantità di droga ed altri delitti (la sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio constava di oltre 8000 pagine raccolte in 40 volumi).Il 23 maggio 1992, il dott. Falcone, unitamente alla moglie Francesca MORVILLO anch'ella magistrato, faceva ritorno mediante aereo militare a Palermo proveniente da Roma. I predetti stavano percorrendo, a bordo di un'auto blindata scordata da altre due vetture blindate, l'autostrada che congiunge l'aeroporto di Punta Raisi con Palermo, allorchè, all'altezza della località «Capaci», aveva luogo una violentissima esplosione che creava un profondo cratere nella sede stradale. Nell'occorso, perdevano la vita i due magistrati e gli agenti Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro e Vito Schifano.
Francesca MORVILLO decedeva, appunto, assieme al coniuge Giovanni FALCONE nell'attentato di Capaci il 23 maggio 1992.Nel corso della carriera, esercitava le funzioni di giudice del tribunale di Agrigento, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Palermo, di Consigliere della Corte di appello di Palermo. All'epoca dell'attentato, era componente della Commissione per il concorso di accesso in magistratura
Paolo BORSELLINO, entrato in magistratura nel 1964, esercitava le funzioni giurisdizionali quale giudice del Tribunale di Enna, pretore di Mazara del Vallo e di Marsala; nel 1975 prendeva servizio presso il Tribunale di Palermo ove svolgeva le funzioni di giudice istruttore penale; nel luglio 1986 veniva nominato procuratore della Repubblica di Marsala, e nel marzo 1992 faceva ritorno negli uffici palermitani assumendo le funzioni di procuratore della Repubblica aggiunto. BORSELLINO, unitamente a Giovanni FALCONE, faceva parte, nel periodo della sua permanenza presso l'ufficio istruzione penale del tribunale di Palermo, del pool di magistrati (diretto dai Consiglieri istruttori Rocco CHINNICI prima, e Antonio CAPONNETTO poi) impegnato in modo professionale elevatissimo e con una dedizione a tempo pieno eccezionale ad inquisire la criminalità mafiosa nei suoi più svariati aspetti. Il predetto, tra gli altri, istruiva il processo a carico della mafia di Altofonte con 21 imputati, quello a carico di Bonanno ed altri nove coimputati per l'omicidio in persona del capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, il procedimento a carico di Filippo Marchese e altri 14 imputati per l'omicidio in persona del vice Questore Boris Giuliano. Partecipava all'istruzione, assieme a Giovanni Falcone, Leonardo Guarnotta, Giuseppe Di Lello, del c.d. maxi-processo contro la mafia, con 707 imputati, che imponeva ai magistrati un lavoro di indagini di assoluta complessità e delicatezza, che si concludeva con la redazione di una sentenza-ordinanza di oltre 8.000 pagine (in cui la posizione di ciascuno dei 475 imputati rinviati a giudizio veniva compendiata in apposite schede); tale imponente lavoro istruttorio consentiva una conoscenza del tutto inedita del fenomeno mafioso. Il giorno 19 luglio 1992 - domenica (a meno di due mesi dall'eccidio di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e di tre agenti della scorta), verso le ore 18, Paolo Borsellino si stava recando a visitare la madre in Via D'Amelio a Palermo; giunto davanti al portone d'ingresso scendeva dall'auto blindata sotto la vigilanza della scorta: in quel momento si verificava una deflagrazione violentissima proveniente da un'autovettura FIAT 126 parcheggiata di fronte al portone che determinava danni gravissimi alle abitazioni circostanti e a numerose vetture parcheggiate nelle vicinanze. Così il magistrato perdeva la vita, e con lui cinque agenti: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cosina, Claudio Traina, Vincenzo Limuli.
Luigi DAGA, direttore dell'Ufficio Studi e Ricerche del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria presso il Ministero di Grazia e Giustizia, veniva inviato in missione al Cairo dal 23 al 29 ottobre 1993 per partecipare, in qualità di relatore, al VI Congresso dell'Associazione egiziana di Diritto Criminale. Il magistrato avrebbe dovuto svolgere una relazione nell'ambito della tavola rotonda sul nuovo codice penale francese ed il progetto di riforma del codice penale italiano. Il 26 ottobre, il predetto subiva un sanguinoso attentato presso l'Hotel Semiramis de Il Cairo, che ne provocava poi, il decesso in Roma il successivo 17 novembre 1993. DAGA, che ha trascorso una lunga parte della sua carriera presso gli uffici dell'Amministrazione Penitenziaria, era uno studioso e profondo conoscitore, apprezzato in sede internazionale, di ogni problematica del «carcere» e del mondo penitenziario.
Non dimentichiamo inoltre i 29 carabinieri e poliziotti morti per la difesa dei magistrati
Fonte: ufficio studi del CSM
sabato 16 aprile 2011
Zero comunicazione
Il progetto poteva anche essere suggestivo, peccato che nessuno ne ha saputo nulla. E ora che, il 17 aprile, le cifre in cima ai palazzoni milanesi saranno spente, scopriamo che era uno dei progetti per la seconda edizione del concorso Led - Festival internazionale della Luce.
Titolo: Growing by Numbers.
Il festival era promosso dal Comune. C'entra l'Assessorato all’Arredo, Decoro Urbano e Verde.
Dice il comunicato stampa: "Architettura Attuale - gruppo di ricerca formato da tre professionisti che condividono lo stesso interesse per la contaminazione fra architettura, arte e comunicazione - ha proposto una numerazione progressiva in ordine cronologico da 0 a 9, dal grattacielo Pirelli sino alle torri ancora in costruzione".
E anche: "Sono sei i grattacieli più alti di Milano, testimoni del cambiamento della città che cresce soprattutto in altezza, sui quali è stato possibile installare la numerazione luminosa:
0 - Grattacielo Pirelli - Via Fabio Filzi 22
1 - Torre Galfa - Via Luigi Galvani 13
3 - Torre Servizi Tecnici Comunali - Via Giovanni Battista Pirelli 39
5 - Torre FS Garibaldi A - Piazza Sigmund Freud
7 - Torre FS Garibaldi B - Piazza Sigmund Freud
9 - Garibaldi Torre Cesar Pelli - Porta Nuova
Il progetto Growing by Numbers è iniziato nel dicembre 2010 e l’installazione della serie numerica da 0 a 9 prosegue fino al 17 aprile grazie a Zumtobel, che ha messo a disposizione oltre 1.650 punti di luce CAPIX LED che comportano un consumo totale di energia pari a poco più di 2 kW (cioè quanto utilizzato da una lavatrice domestica). Ogni numero luminoso è alto nove metri e di colore rosso".
Meglio tardi che mai.
Titolo: Growing by Numbers.
Il festival era promosso dal Comune. C'entra l'Assessorato all’Arredo, Decoro Urbano e Verde.
Dice il comunicato stampa: "Architettura Attuale - gruppo di ricerca formato da tre professionisti che condividono lo stesso interesse per la contaminazione fra architettura, arte e comunicazione - ha proposto una numerazione progressiva in ordine cronologico da 0 a 9, dal grattacielo Pirelli sino alle torri ancora in costruzione".
E anche: "Sono sei i grattacieli più alti di Milano, testimoni del cambiamento della città che cresce soprattutto in altezza, sui quali è stato possibile installare la numerazione luminosa:
0 - Grattacielo Pirelli - Via Fabio Filzi 22
1 - Torre Galfa - Via Luigi Galvani 13
3 - Torre Servizi Tecnici Comunali - Via Giovanni Battista Pirelli 39
5 - Torre FS Garibaldi A - Piazza Sigmund Freud
7 - Torre FS Garibaldi B - Piazza Sigmund Freud
9 - Garibaldi Torre Cesar Pelli - Porta Nuova
Il progetto Growing by Numbers è iniziato nel dicembre 2010 e l’installazione della serie numerica da 0 a 9 prosegue fino al 17 aprile grazie a Zumtobel, che ha messo a disposizione oltre 1.650 punti di luce CAPIX LED che comportano un consumo totale di energia pari a poco più di 2 kW (cioè quanto utilizzato da una lavatrice domestica). Ogni numero luminoso è alto nove metri e di colore rosso".
Meglio tardi che mai.
venerdì 15 aprile 2011
Ultimi post da Gaza
Il blog di Vittorio Arrigoni, l'attivista rapito e ucciso da un gruppo salafita nemico di Hamas e vicino ad Al Qaida.
mercoledì 13 aprile 2011
Scelta difficile, oggi
Mi indigna di più
a. la scioglievolezza di certe squinzie a disposizione del capo, con tanto di uso improprio di divinità altrui (e vorrei proprio vederla la statuetta di Priapo ....)
b. il solitario dell'ex Ministro della Difesa Martino sull'i-Pad mentre in Parlamento si fa il ripasso della Costituzione...
c. la mancanza di reazione alla notizia della claque del sindaco Moratti
d. la mozione contro i parrucchieri abusivi della Minetti (finalmente un'iniziativa che non si fermi al palo della lap-dance)
Le sparate di Castelli e Speroni non le prendo nemmeno in considerazione. Si deve pur scegliere. E oggi è davvero difficile.
a. la scioglievolezza di certe squinzie a disposizione del capo, con tanto di uso improprio di divinità altrui (e vorrei proprio vederla la statuetta di Priapo ....)
b. il solitario dell'ex Ministro della Difesa Martino sull'i-Pad mentre in Parlamento si fa il ripasso della Costituzione...
c. la mancanza di reazione alla notizia della claque del sindaco Moratti
d. la mozione contro i parrucchieri abusivi della Minetti (finalmente un'iniziativa che non si fermi al palo della lap-dance)
Le sparate di Castelli e Speroni non le prendo nemmeno in considerazione. Si deve pur scegliere. E oggi è davvero difficile.
martedì 12 aprile 2011
"Non possiamo tacere, questo è un attentato alla Costituzione"
“Secondo me, è un attentato alla Costituzione. Ma in questo Paese ci stiamo abituando a tutto e nessuno dice niente”. Lorenza Carlassare, costituzionalista, tra le più importanti conoscitrici della Carta è irrequieta. Una situazione come questa non si era mai vista e alza il velo sullo show di Silvio Berlusconi: quello che la preoccupa è il silenzio. “Fossimo negli Stati Uniti, questo sarebbe un reato bello e buono: disprezzo della Corte. Qui è diverso, ma resta un atto gravissimo, perché la nostra Costituzione prevede la separazione dei poteri”.
Che principi avrebbe violato il presidente del Consiglio, attaccando i giudici fuori e dentro il tribunale milanese?
“Il rispetto delle altre istituzioni. Credo si possa parlare di vilipendio, di offesa della magistratura. Le sue parole gettano discredito su un’istituzione autonoma e indipendente che ha il dovere di controllare il presidente del Consiglio e infatti lo fa, solo che Silvio Berlusconi, al solito, non ammette limiti al suo potere e nemmeno contrasti. Anche lo stato e le sue istituzioni, come ogni altro soggetto, sono sottoposti alle leggi, secondo la nostra Costituzione. L’attacco del presidente del Consiglio vìola princìpi fondamentali di qualunque ordinamento civile e democratico, ma sostanzialmente viola le basi della nostra Carta che sono la divisione dei poteri e l’uguaglianza di tutti i cittadini”.
Potrebbe essere una provocazione, un modo di innervosire gli interlocutori per farli cadere nel tranello e invocare il legittimo sospetto?
“Potrebbe anche essere questo, ma per fortuna i giudici milanesi non hanno raccolto alcuna provocazione. Mi pare che sia qualcosa di più grave, però”.
Cioè un attacco punto e fine…
“Il solito attacco allo Stato di diritto cui Silvio Berlusconi ci ha ormai abituati da anni. Lo stato di diritto prevede limiti e regole per il potere. E Silvio Berlusconi non ne vuole proprio sapere”.
Che principi avrebbe violato il presidente del Consiglio, attaccando i giudici fuori e dentro il tribunale milanese?
“Il rispetto delle altre istituzioni. Credo si possa parlare di vilipendio, di offesa della magistratura. Le sue parole gettano discredito su un’istituzione autonoma e indipendente che ha il dovere di controllare il presidente del Consiglio e infatti lo fa, solo che Silvio Berlusconi, al solito, non ammette limiti al suo potere e nemmeno contrasti. Anche lo stato e le sue istituzioni, come ogni altro soggetto, sono sottoposti alle leggi, secondo la nostra Costituzione. L’attacco del presidente del Consiglio vìola princìpi fondamentali di qualunque ordinamento civile e democratico, ma sostanzialmente viola le basi della nostra Carta che sono la divisione dei poteri e l’uguaglianza di tutti i cittadini”.
Potrebbe essere una provocazione, un modo di innervosire gli interlocutori per farli cadere nel tranello e invocare il legittimo sospetto?
“Potrebbe anche essere questo, ma per fortuna i giudici milanesi non hanno raccolto alcuna provocazione. Mi pare che sia qualcosa di più grave, però”.
Cioè un attacco punto e fine…
“Il solito attacco allo Stato di diritto cui Silvio Berlusconi ci ha ormai abituati da anni. Lo stato di diritto prevede limiti e regole per il potere. E Silvio Berlusconi non ne vuole proprio sapere”.
lunedì 11 aprile 2011
mercoledì 6 aprile 2011
Processo Ruby
Processo Ruby, a set on Flickr.
Le foto: così ci guardano gli altri, i giornalisti stranieri, assiepati con le loro antenne satellitari davanti al Tribunale di Milano.
La protesta contro gli insulti alla magistratura e alle istituzioni e, sull'altro lato del marciapiedi, l'ira contro le toghe.
venerdì 1 aprile 2011
Clandestini, profughi o migranti?
Questa è Essaouira, il porto marocchino da cui partivano gli schiavi per l'America. Erano in catene, allora, fin da quando salivano sulle navi.
Chissà che ricordarlo non limi la pietà di qualcuno, oggi.
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