Vado a memoria, perché di storia mi ricordo il minimo indispensabile.
Però la retorica a me fa paura, anche se il post di Gianluca, osservatore acuto del made in Italy dalla piazza parigina, mi raffredda il cervello e mi dice che, almeno sulla carta è proprio tutto come lui dice.
Però già questo post di Pippo mi ha fatto venire l'ansia. E quello precedente ancora di più.
Ora, per le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia il massimo che mi aspetto è l'altare della patria trasformato in scalinata con tanto di papi-girls e Silvio, wandissimo, che scende con coreografia di corazzieri pluripennuti e svolazzo di elicotteri e frecce tricolori.
Un incubo. Ma lo vedo precisamente, come il pasticcere trotzkista di Nanni Moretti: un film musicale (non voglio sapere su che note).
A me Garibaldi non sta tanto simpatico, ma agli italiani piacciono da sempre i leader, specie se non trattano bene le donne.
Non è che poi del Risorgimento sia rimasto tanto, perché sui banchi di scuola si continua a parlare di moti carbonari e Giovine Italia. Non c'è traccia di quella voglia di riprendersi le città che percorse tutto il '48. Se però non ci fossero state le cinque giornate di Milano, o Venezia che si ribella agli austriaci, e tutto il resto, saremmo ancora al 1815.
Ho zippato un po' mi rendo conto, e semplificato molto; chiedo scusa agli storici. Ma è solo per dire che nelle parate militari che sono da sempre il fulcro delle celebrazioni patriottiche non c'è traccia di quel resto. Le bandiere servono solo per piangere, e Mameli lo riscopre il festival della canzone. Forse non è retorica, ma è un uso distorto della retorica. E alla fine del ragionamento sono pure più terrorizzata di prima.
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