Se dici che sei vegetariano la vita più sembrare più semplice. Il mondo davanti a te diventa più chiaro; l’umanità sembra entrare tutta in cassetti preordinati: quelli che tentano di convertirti, quelli che ti ammirano, quelli che imbrogliando nascondono cotiche tra innocenti fagioli, quelli che “ma nemmeno il prosciutto?”. E’ solo la prima illusione, il gioco di un tetris che piano piano si disfa davanti a certezze granitiche come il ragù, cotolette-totem e pesci venerati come divinità pagane.
In questi 15 anni di vegetarianesimo convinto (nor fish, nor meat, che detto in italiano suona come un insulto) le cose sono molto cambiate, la soglia del paradiso resta lontana. La maggior parte dei bar continua a servire panini mozzarella e pomodoro come unica scelta, l’insalata è il piatto più caldeggiato dai ristoranti, lo strutto anche a Milano è sempre in agguato. E se sui treni trovi qualche anima gentile che si offre di togliere i gamberetti dal tramezzino, sugli aerei, o prenoti il menù, o muori di fame. L’altro veggie sul volo è incattivito da anni di guerra all’ultimo boccone e non cede nemmeno il tovagliolo.
Messe così le cose, è facile associare la scelta a un certo francescanesimo: privazioni, rinunce, tristezza e in ultima analisi, fame. Non si dimagrisce, questa è la differenza. Perché alla fine, in Italia, se sei vegetariano, ti ammazzi di carboidrati. Pane, pasta, pizza e dolci (nella foto, la panna cotta di Enzo Neri) sono un rifugio sicuro, anche psicologicamente. Un sedativo per placare la fame. Se ci metti anche il cioccolato puoi raggiungere lo sballo da auto-endorfine.
Impari a distinguere le regioni amiche da quelle ostili. In Liguria c’è cultura vegetariana fin nelle radici del basilico che serve per il pesto. Ti illudi che la luna di miele possa continuare anche in Toscana e scopri che dopo le pietre di Luni sei uno zombie: bistecche ovunque, proteine animali anche nel gelato. Grondano sangue l’Umbria, le Marche, il Lazio. Poi, verso sud, ti aiutano i formaggi, se li mangi, e le tradizioni contadine, in parte, ma ti devi augurare che i contadini siano stati molto, molto poveri e gli invasori non abbiano lasciato un gran segno.
In Sicilia, in cima a un cous-cous che sembrava l’Etna fumante può capitare di trovare un occhio di bue, non l’uovo, proprio il bulbo oculare. Certo, devi essere l’ospite d’onore, ma può capitare. Ultimamente le cose sono cambiate. La vita dei vegetariani è diventata un po’ meno avventurosa, ma non ancora sedentaria. Non puoi distrarti. La lettura della lista degli ingredienti è pratica obbligata. Non è questione di essere talebani del cibo, solo di rispetto per una scelta che non dovrebbe condizionare gli altri. Invece capita ancora di essere un fastidio aggiuntivo per le amiche che ti invitano al matrimonio e poi devono pensare al menù a parte per te. Nel resto del mondo, se ne occupa lo chef, non la sposa. Pochissimi i ristoranti vegetariani, concentrati per lo più nelle grandi città o su cucuzzoli irraggiungibili. Qualche insegna del buon gusto ha aperto finestre veggie, ma non fidatevi: c’è ancora chi vi lancia l’insalata sul piatto con lo sguardo che dice “Toh, bruca, vecchia capra”